lunedì, aprile 30, 2007

In ricordo di un martire dell'Avvocatura: Fulvio Croce.


"Giovedì 28 aprile alle ore 15, un nucleo armato delle Brigate Rosse ha giustiziato il servo di stato Fulvio Croce, Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Torino. (....) La sua ultima operazione controrivoluzionaria è stata l'assunzione della difesa di militanti della nostra Organizzazione al Tribunale Speciale di Regime nel processo iniziato il 17/05/1976 dell'Assise di Torino (....)".

Con queste parole iniziava il farneticante comunicato delle Brigate Rosse, con il quale veniva rivendicato l'assassinio dell'Avvocato Fulvio Croce, avvenuto 30 anni fa.

Pubblichiamo qui di seguito un breve scritto dell'Avv. Franzo Grande Stevens, per onorare la memoria di un grande Collega, che ha dato la vita per onorare la Toga.

"Figlio del medico condotto di Castelnuovo Nigra e di una donna che Gli assomigliava nella tempra e visse tanto a lungo da accompagnarlo fin quasi alla Sua morte, dopo la parentesi dell' impresa fiumana che a 17 anni rivelò la forza della Sua passione, - giunse alla facoltà di giurisprudenza torinese.

«Trascinatore ed animatore» era scritto nelle sue note caratteristiche da militare e lo dimostrò quando nel 1968 assunse la Presidenza del Consiglio dell’Ordine forense torinese.

Fu rieletto ogni biennio con i maggiori suffragi. Ma la serenità della sua lunga presidenza, così alacre e fattiva, venne bruscamente interrotta quando nel maggio 1976 alla Corte d’Assise di Torino gli esponenti delle Brigate Rosse revocarono il mandato ai loro difensori di fiducia e minacciarono in caso di accettazione dell’incarico gli avvocati nominati d’ufficio.

In Consiglio dell’Ordine, convocato ad horas, fu concorde: toccava al governo dell’Ordine assumere il non lieve peso della difesa d’ufficio.

Si poteva rifiutare invocando la regola — art. 6 — appositamente dettata dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo cui l’Italia aveva aderito, la quale attribuiva il diritto all’imputato di scegliersi un difensore o difendersi da sé, nonché le esperienze e gli insegnamenti che in situazioni identiche venivano da paesi di grande civiltà (come il Regno Unito, gli USA, il Canada). In questi paesi si riconosceva e sottolineava che nel contrasto di posizioni master della difesa era e doveva essere l’imputato (capace) mentre l’avvocato era e doveva rimanere il suo assistente e non viceversa. In tal caso l’avvocato poteva essere chiamato (come da una Corte canadese) non come difensore; ma come amicus curiae perché nell’interesse della collettività si riducesse il margine di errori nel processo: chiamato cioè come garante di legalità. Nei Paesi ad ispirazione autoritaria; invece (come in URSS o nella Spagna franchista) il difensore di ufficio (o di Stato) era obbligatorio e leggi particolari prevedevano numerosi supplenti in caso di rifiuto da parte dell’imputato.

La nostra Costituzione riconosce il diritto inviolabile del cittadino alla difesa (così come gli riconosce quello alla salute, alla libera associazione, alla libertà di religione, alla libertà di pensiero, ecc.) ma non gli impone l’obbligo di difendersi e per di più secondo certe regole (così come non impone al cittadino consapevole di subire una trasfusione di sangue, o altre cure tecniche, non lo obbliga ad associarsi, o a professare una religione, o a manifestare il suo pensiero, ecc.).

Tuttavia gli avvocati torinesi con Fulvio Croce alla guida, assunsero la difesa d'ufficio, così interpretando il loro ruolo e la loro dignità, e pur sapendo che non sarebbe stata gradita né agli spiriti faziosi né, soprattutto a coloro che volevano definirli «servi di regime» dettero quest’ultima risposta. E Fulvio Croce pagò con la vita.

a Franzo Grande Stevens, Vita di un avvocato, Cedam Padova, 2000, p. 205

Nessun commento: