martedì, aprile 03, 2007

L’Oua contesta il progetto di legge Mastella sul processo civile

Michelina Grillo, presidente Oua: « Si pensa di fare delle riforme a costo zero per lo Stato, ma a carico ed a scapito dei diritti dei cittadini. Questa è la stessa filosofia utilizzata anche dai precedenti Governi e riconfermata, purtroppo, dall’attuale Guardasigilli. Forse buona per ottenere un titolo sui giornali, ma perdente in prospettiva. Non possiamo non ribadire che il recupero di efficienza e di credibilità della giustizia civile richiede, innanzitutto, un adeguato stanziamento di risorse, ma soprattutto deve essere sottratto da continui interventi di microchirurgia, inidonei a risolvere una crisi strutturale qual’è quella in atto. Serve una razionalizzazione del sistema, frutto del dialogo con tutti gli operatori del servizio Giustizia e non tirata fuori dal cilindro di qualche prestigiatore. Ci auguriamo che la conferenza sulla giustizia, che l’avvocatura ha indetto dall’11 al 13 di ottobre, a Roma, possa essere l’occasione per confrontarci apertamente su questa vera e propria emergenza democratica».

La Giunta dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, riunita a Varese il 30 e 31 marzo 2007, ha esaminato il testo del Ddl presentato dal Ministro Mastella recante “Disposizioni per la razionalizzazione e l’accelerazione del processo civile” e con un deliberato (di seguito) ha espresso le prime valutazioni rivolgendo severe critiche.

Il deliberato

Anche questo ennesimo intervento sul processo civile non si sottrae alle solite critiche che hanno accompagnato quelli che lo hanno preceduto, critiche alle quali il Governo (speriamo non il Parlamento) appare peraltro del tutto indifferente.

Critiche fondate sull’inaccettabilità del continuo cambiamento delle regole, ispirato esclusivamente alla rincorsa dell’emergenza – nel disperato tentativo di porre un argine al disastro della nostra giustizia civile – e del tutto irrispettoso delle imprescindibili esigenze di organicità del sistema e di ricomposizione dello stesso in una prospettiva di reale recupero di efficienza e di efficacia.

E così, accanto ad innovazioni che appaiono condivisibili (quali, tra le altre, l’ampia riscrittura delle regole di trattazione delle questioni di competenza, la rimodulazione in termini maggiormente incisivi della responsabilità aggravata, l’alleggerimento del contenuto della sentenza, il rafforzamento del presidio dell’adempimento degli obblighi di fare infungibile e di non fare), vi sono previsioni che appaiono del tutto inopportune o inutili ed altre invece addirittura connotate da una non accettabile compressione dei diritti delle parti.

Tra quelle inopportune va annoverato il rilevante ampliamento delle competenze del giudice di pace, che (così come l’infelice previsione della ricostituzione delle sezioni stralcio, oggetto di unanimi critiche ed opportunamente accantonata) appare solo un mezzo per ridare ossigeno alle agende dei magistrati togati, peraltro del tutto ingiustificato, innanzi tutto in considerazione della (tuttora) inadeguata caratura professionale di questi giudici.

Tra quelle (sostanzialmente) inutili va annoverata la riduzione del termine per la riassunzione del processo interrotto, di quello per le attività di cui all’art. 307, del termine lungo per le impugnazioni, di quello per il promuovimento del giudizio di rinvio e di quello feriale, sulle quali di certo non possono aversi contrarietà di principio, salvo osservare che non è seriamente sostenibile che ciò serva davvero a ridurre i tempi (e che sarà interessante vedere se gli uffici giudiziari, anche in considerazione della pianificazione delle legittime ferie dei magistrati, saranno in grado di assicurare che l’effettiva ripresa dell’attività di udienza, che già cessa ben prima del 31 luglio, riprenda con il primo di settembre, perché se così non avvenisse gli unici a risentire dell’innovazione sarebbero, tanto per cambiare, gli avvocati, i quali si ritroverebbero i termini che corrono già dall’inizio di settembre, senza alcuna ragionevole aspettativa di una corrispettiva – di quindici giorni poi! – riduzione dei tempi delle cause).

Nel disegno di legge vi sono poi previsioni che si iscrivono nella logica di un complessivo spostamento del baricentro del processo verso il ruolo e la funzione del giudice, spostamento destinato a tradursi anche in un rafforzamento dei suoi poteri discrezionali che non convince prima di tutto in linea di principio, in quanto ad esso inevitabilmente consegue la compressione dei diritti delle parti.

Viene al riguardo in primo luogo in rilievo l’ennesima riscrittura degli artt. 183 e 185, connotata: (i) dal rafforzamento del tentativo di conciliazione, accompagnato dall’obbligo delle parti di dichiarare a quali condizioni siano disposte a conciliare (e dalla previsione che la parte che abbia a conseguire, all’esito della causa, non più di ciò che la controparte si era dichiarata disponibile ad offrire, possa essere condannata alle spese); (ii) dalla previsione che le memorie possano essere concesse solo ove il giudice ritenga che sussistano giusti motivi.

Mentre la prima previsione può avere un senso solo alla condizione che il giudice arrivi all’udienza conoscendo la causa e pertanto rendendosi parte effettivamente attiva nel tentativo di conciliazione (e dovendosi seriamente considerare la possibilità di prevedere che, fallito il tentativo di conciliazione, muti la persona del giudice istruttore), la seconda appare una davvero indebita ingerenza (per sanzionare condotte censurabili c’è già lo strumento rappresentato dalla regolazione delle spese) nell’apprestamento delle difese delle parti, quasi che sia il giudice il soggetto in grado di valutare l’efficacia e la completezza di tali difese (e non l’avvocato, che appare relegato al ruolo di fastidioso ostacolo al celere procedere del giudizio); e tutto ciò, non si dimentichi, per evitare un allungamento di (30+30+20=) 80 giorni!

Ma della riscrittura degli artt. 183 e 185 non piacciono altre cose: il ripristino della riserva obbligatoria qualora vengano assegnati i termini per le memorie (attesa la pacifica utilità di un ulteriore momento di contraddittorio) e la incomprensibile cancellazione della possibilità, per l’avvocato, di autenticare la procura a favore del rappresentante che compare nel tentativo di conciliazione (un’opportuna semplificazione).

Non può non destare perplessità anche la previsione della facoltà di rimessione in termini per errore scusabile. Se infatti pare corretto prevedere (anche generalizzandosi la previsione dell’art. 184 bis) la rimessione in termini per la parte che sia incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile, riesce alquanto difficile immaginare quali potrebbero essere le fattispecie di errore scusabile ed i conseguenti ambiti di discrezionale (e pertanto non agevolmente prevedibile e verificabile) esercizio della relativa facoltà.

Parimenti non condivisibile appare la previsione di procedimenti sommari non cautelari, i quali si risolverebbero in un ulteriore modello processuale (al di fuori di un’adeguata ponderazione della rilevanza e degli effetti dell’introduzione, nell’ordinamento, di un procedimento sommario non cautelare, fondato su un accertamento di mera verosimiglianza), che difficilmente garantirebbe gli sperati effetti deflativi (comunque implicando un’attività istruttoria).

Una valutazione negativa va poi fatta anche per ulteriori specifiche norme: (i) quella relativa all’estinzione qualora l’attore non compaia alla prima udienza ed il convenuto non chieda che si proceda in assenza di lui (non basta, a fini acceleratori, l’immediata cancellazione?); (ii) quella relativa all’incomprensibile eliminazione della rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione; (iii) quella relativa all’ambigua determinazione di rimettere alle parti la scelta del rito per le cause di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 5/2003, dovendosi aggiungere che una così incisiva modificazione non può prescindere da una complessiva riflessione sull’assetto dei riti, che potrà farsi in occasione della Conferenza della Giustizia che l’Oua sta organizzando.

Sottolineata l’opportunità di chiarire espressamente, onde evitare equivoci, che le eccezioni all’inammissibilità di cui all’art. 345 riguardano anche i documenti, resta un’ultima considerazione circa la previsione della complessiva durata (di norma) quinquennale di tre gradi di giudizio.

A costo di essere noiosi occorre ribadire che non è cambiando regole (e comprimendo i diritti e le facoltà delle parti) che si consegue tale obiettivo.

Non sfugge come il progetto del Governo per restituire dignità ed efficienza alla giustizia civile (ma non è dissimile la valutazione per il progetto relativo a quella penale) passi attraverso questa illusoria scorciatoia a costo zero (per lo Stato, ma non per i cittadini).

Per il civile la preoccupazione si accresce leggendo, nella relazione accompagnatoria al Ddl in commento, che le ulteriori misure in cantiere tra l’altro consistono: (i) nella “razionalizzazione e potenziamento degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie civili, con qualificati organi di conciliazione”, chiaro dovendo essere che in tanto tali strumenti possono funzionare in quanto la giurisdizione recuperi un grado accettabile di efficienza e che comunque ad ogni tavolo in cui si discuta di diritti dovrà essere obbligatoriamente garantita la difesa tecnica; (ii) nella “previsione di meccanismi di filtro che, nel rispetto del principio costituzionale del giudice naturale, consentano di selezionare le cause che, per il loro basso grado di difficoltà, possano essere trattate mediante il ricorso a forme procedimentali semplificate, eventualmente avvalendosi dell’apporto della struttura dell’ufficio del processo”, chiaro dovendo essere che l’ufficio per il giudice o per il processo deve restare solo ed esclusivamente uno strumento di ausilio per l’attività del magistrato.

Non può non ribadirsi, in conclusione, che il recupero di efficienza e di credibilità della giustizia civile, oltre a richiedere un adeguato stanziamento di risorse, esige che si smetta, una volta per tutte, di procedere con interventi di microchirurgia, pacificamente inidonei a risolvere una crisi strutturale qual’è quella in atto, e che la pianificazione delle iniziative sia preceduta da un’urgentissima progettazione di sistema, da non concepirsi nelle stanze del Ministero, ma da condividersi con tutti i protagonisti del servizio Giustizia.





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