giovedì, settembre 27, 2007

Nel libro "Toghe rotte" i vizi della "casta" dei magistrati.


"E' accaduto nella magistratura qualcosa di molto simile a ciò che è accaduto all'esterno, nei palazzi della politica. Gruppi legittimi ma di natura privata, cioè le correnti, decidono su un bene pubblico, la giustizia, proprio come i partiti fanno nelle istituzioni".

Dopo il best-seller di Gian Antonio Stella, la nuova 'casta', questa volta, sembra quella identificata dal libro di un serissimo magistrato, Bruno Tinti, procuratore aggiunto a Torino.

E' lui l'autore di 'Toghe rotte', edito da Chiarelettere con prefazione di Marco Travaglio, un libro che apre squarci non proprio rassicuranti sul mondo della magistratura italiana.

Sotto la lente di Tinti i meccanismi di autogoverno della categoria, a cominciare dai sistemi di elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura: concepiti dal Costituente per preservarne l'autonomia dai poteri forti e, invece, strumento per fare dei giudici appunto una casta, con i propri rituali, i propri compromessi e le proprie spartizioni.