venerdì, novembre 02, 2007

Cause “seriali”: la deontologia va in fumo!

Persone decedute da mesi si sarebbero preoccupate dei possibili danni alla propria salute, provocati dal fumo e avrebbero quindi citato in giudizio la Philip Morris Italia srl per ottenere il risarcimento.

Non è una battuta, ma ciò che risulta da alcuni dei 4.265 atti di citazione, pervenuti nel giro di due mesi alla società produttrice di sigarette Marlboro Lights.

È solo una delle «anomalie» riscontrate nelle migliaia di richieste risarcitorie che la società si è vista recapitare. C'è poi l'analfabeta che nella sua vita non ha mai apposto una firma e che invece ha imparato a scrivere quando si è trattato di conferire il mandato per chiedere il risarcimento.

Non mancano neppure le ipotesi in cui ad agire in giudizio sarebbero stati ragazzi di 12 anni, oppure anziani di più di 90 anni, che, preoccupati per la propria salute, vivrebbero nel «timore di contrarre in futuro malattie».

Un'ampia e originale casistica di richieste risarcitorie in cui l'elemento comune è rappresentato dall'unico studio legale, che ha curato le pratiche. Si tratta dell'avvocato U.M.C.C, 55 anni, con studio in un centro della provincia, che ha notificato gli atti dall'ufficio postale di Buccino ed finito sotto inchiesta.

A denunciarlo a giugno scorso è stata la Philip Morris Italia srl e già il sostituto procuratore Antonio Cantarella, titolare dell'indagine, ha disposto il sequestro degli originali degli atti di citazione. Intanto pende anche dinanzi al Consiglio forense la richiesta avanzata dalla Philip Morris di immediata sospensione in via cautelare del professionista per «plurime violazioni del codice deontologico».

Nell'esposto la società ha evidenziato che i 4.265 atti di citazione sono identici, cambiano solo i nomi degli attori, ciascuno si proclama «vittima del vizio del fumo, di aver fumato sigarette Marlboro rosse e dal 2002, di aver cercato di liberarsi dal vizio passando alle Marlboro Lights considerandole meno nocive, onde ridurre grdualmente la quantità per poi smettere del tutto».

Ma poi tutti gli attori inevitabilmente concludevano di aver invece fumato «ancora di più, aumentando il numero e l'intensità delle boccate ai fini dell'appagamento del bisogno».

In tutti quei ricorsi si richiama anche il provvedimento del Garante per la concorrenza e il mercato del 13 marzo 2003, che ha ritenuto l'apposizione del termine «Lights» sulle sigarette costituisce pubblicità ingannevole, in quanto idonea a trarre in inganno e a porre in pericolo la salute dei consumatori, inducendoli a trascurare le regole di prudenza e vigilanza».

Da qui la richiesta di risarcimento sia per i danni morali ed esistenziali, consistenti «nella continua preoccupazione dell'insorgere di malattie letali e materiali», sia del danno patrimoniale, derivante dalla «costrizione all'acquisto di un maggior numero di sigarette».

Il numero esorbitante di citazioni, provenienti tutte dal medesimo studio legale nel giro di un paio di mesi, ha indotto la società, tramite i suoi consulenti internazionali a dare mandato a un'agenzia investigativa per contattare coloro che avrebbero chiesto i risarcimenti, in prevalenza residenti nei Comuni di Colliano, Valva e Balvano.

Sono così emersi i casi di deceduti, analfabeti, dodicenni e novantenni, di persone che nella loro vita non avevano mai fumato una sigaretta, e non è mancato neppure chi ha deciso di agire in giudizio nei confronti dell'avvocato, di cui non conosceva neppure l'esistenza.

La società ha fatto effettuare anche alcune perizie calligrafiche che avrebbero fatto emergere forti dubbi sull’autenticità delle firme con cui si conferiva mandato al legale.

ANTONELLA BARONE

(tratto dal quotidiano “Il Mattino”)