venerdì, giugno 13, 2008

Per la Giustizia del Cav. servono due stili: Alfano e Ghedini.


Roma. Sono gli esecutori della nuova e più raffinata strategia del Cav. nei confronti delle toghe, l’uno ne è il sacerdote dell’ortodossia, mentre l’altro ne incarna l’intelligenza diplomatica, lo spirito del tempo.

Si assomigliano pure. Sia Ghedini sia Alfano sono avvocati.

Il primo sognava processi veri, imputati sottratti alla forca e, da buon veneto, tutto d’un pezzo c’è riuscito.Figlio d’arte, ha cominciato con Piero Longo, la leggenda del foro padovano, ma poi è cresciuto fino a rubare la scena a Gaetano Pecorella, diventando l’avvocato disposto a “morire in piedi” per Silvio.

Per l’altro invece l’avvocatura è un ordine cavalleresco, è nato uomo politico, figlio di assessore comunale, precoce e brillante sin da ragazzino nella Dc, non ha mai esercitato la professione a tempo pieno: al paese quel che conta è la laurea in legge, in questo caso addirittura un dottorato di ricerca, l’importante è che, ogni tanto, i ragazzi che siedono ai tavolini del bar Sajeva di Agrigento, sbocconcellando le cotognate si chiedano: “Che fa Alfano?”; “L’avvocato”; “Minchia!”.

Il Cav. non fa nulla per nascondere il tandem e li riceve spesso in coppia. La mente politica, il successore in potenza di Gianni Letta e il tecnico, l’avvocato che sa come aggirare gli scogli della giurisprudenza.

A Napoli erano appena fioccati gli arresti nello stato maggiore dell’emergenza rifiuti e sui giornali si leggevano le telefonate di Guido Bertolaso. Il berlusconiano Maurizio Lupi spiegava che “i magistrati non devono intralciare l’azione di governo” e il democratico Ermete Realacci sintonizzava il Pd sulla linea del Pdl.

Chi può risolvere il pasticcio? E’ allora, 28 maggio, che la coppia Ghedini-Alfano fa il suo ingresso a Palazzo Grazioli: “Con le intercettazioni – spiega il Cav. – bisogna fare presto”.

Così ancora al lavoro, insieme, l’uno a smussare le spigolosità dei giudici, l’altro a scrivere (forse un decreto) ma soprattutto a controllare tutti i possibili intoppi giuridici: perché mediare, sì, va bene, purché non si perda tempo. Oggi il testo è finalmente nelle mani del Cdm, pronto per il Parlamento: “Ma rapidamente”. Ecco.

I due – una giustizia per due – vanno d’accordo. L’uno addolcisce, media e blandisce; l’altro illumina, guida e osserva. Come scrive Repubblica di mercoledì: “Sulle intercettazioni si sono incontrati i ministri Alfano e Maroni, alla presenza dell’avvocato di Silvio Berlusconi”. Ruoli distinti.

D’altra parte l’avvocato e il ministro si conoscono bene, hanno lavorato alla Costituente del Pdl, e fanno parte del così detto tavolo dei quarantenni, la nuova classe dirigente berlusconiana, il gruppo in ascesa che comprende Maurizio Lupi, Mariastella Gelmini, Guido Crosetto e Dore Misuraca, in pole position per succedere ad Alfano nella guida del Pdl in Sicilia.

Sempre un passo indietro – o avanti – rispetto al Guardasigilli, Ghedini gli preesiste. Già ad aprile, quando la nomina di Alfano era lontana, era lui a spiegare: “La guerra con le toghe è finita, lavoreremo per l’efficienza”. Mancava solo l’uomo che incarnasse lo spirito del tempo.

Poi l’illuminazione, perché non Alfano? Non un leghista a via Arenula, ma il giovane pasciuto nella Dc di Agrigento, uno che senza essere un “vasa vasa” è affabile come Totò Cuffaro, eppur reattivo come un leghista.

In un mese è andato a prendere gli applausi del congresso dell’Anm; ha messo d’accordo magistrati con avvocati (che è un po’ come far convivere cani e gatti); ha raccolto persino i complimenti di Gioacchino Natoli, il pm del processo Andreotti, della sinistra più sinistra: “In Alfano – ha detto il magistrato – prevale la disponibilità al confronto”.

Con accanto, in penombra, il vigile Ghedini a vigilare. Custode dei segreti.

Dal Foglio del 13 giugno 2008.

Nessun commento: