giovedì, settembre 11, 2008

Intervista a Renato Borzone (UCPI): Giustizia, sia vera riforma.


Quando alzo il telefono per parlare con l’avvocato Renato Borzone, segretario dell’Ucpi, la temibile Unione delle Camere penali italiane italiane, appena pronuncio la locuzione “braccialetto elettronico” sento dall’altra parte del filo un silenzio glaciale. Seguito da uno sbuffo che significa: “che palle”.
Borzone in questa intervista non usa locuzioni così dirette ma il senso è questo: per la giustizia italiana occorrono ben altre riforme che questi ballon d’essay mediatici.
Crede sia condivisibile la linea scelta dal ministro Alfano per ridurre il sovraffollamento carcerario?
La linea è certamente condivisibile, anche perché sembra superare alcune posizioni espresse da altri esponenti del PdL. La assolutizzazione della risposta carceraria non è in linea con i moderni ordinamenti e con le soluzioni più avanzate. Il carcere deve essere una risposta estrema per i reati più gravi, mentre per altre situazioni il ventaglio di situazioni da adottare può essere diverso e prevedere risposte più efficaci, come servizi di pubblica utilità, volontariato, sanzioni pecuniarie effettive, eliminazione delle conseguenze del reato. Senza contare che il precedente Governo, dopo l’indulto, non ha fatto nulla per evitare che le carceri si riempissero nuovamente.
Il braccialetto elettronico può essere uno strumento adatto per evitare di rinchiudere nei penitenziari persone la cui pericolosità sociale è tutta da dimostrare?
Su questo bisogna intendersi. Se l’idea non è una boutade estiva, se ne può discutere. Negli Stati Uniti lo strumento è usato e, per quanto se ne sa, è assolutamente affidabile. Leggo invece sulla stampa che i “braccialetti” italiani sarebbero piuttosto “all’italiana”, e cioè di dubbio funzionamento. Chiaro che i costi e l’aspetto tecnico possono condizionare l’effettiva applicabilità dello strumento. Non dimentichiamo però anche che la legge Gozzini funziona per il recupero dei condannati e che molto affollamento carcerario deriva dalla concezione della custodia cautelare. Una parte rilevantissima di detenuti sono in attesa di giudizio. Giudizio che bisogna velocizzare con provvedimenti mirati sulle effettive cause dei ritardi, senza speculare per ridurre garanzie. Su quest’ultimo punto, a breve, l’Unione delle Camere Penali Italiane fornirà importanti strumenti di valutazione alla pubblica opinione.
E la politica delle espulsioni per i reati meno gravi riguardante gli stranieri?
Tutto sta a rendere effettiva la convenzione e l’espulsione, superando i non indifferenti problemi pratici.
Il ministro ombra Lanfranco Tenaglia si è scagliato contro queste misure definendole un’amnistia mascherata. Lei che ne pensa?
E’impressionante l’arretratezza della nostra sinistra rispetto alle forze progressiste europee in materia di giustizia. Qualcuno potrebbe dire che la vera destra è la sinistra. L’Ucpi, che è forza trasversale ed apartitica, ha cercato di stimolare un percorso critico all’interno del Pd. Qualcosa si muove e va incoraggiato. Ma è ancora troppo poco. Un editorialista come Panebianco ha osservato che per troppo tempo il Pd ha rappresentato solo il megafono dell’Anm. E purtroppo questa analisi si conferma oggi con lo stantio slogan usato contro la separazione delle carriere, riforma contrasta perchè “ non accelera” i processi. Come se il problema del processo penale fosse soltanto di velocità e di quantità e non anche, e forse soprattutto, di qualità.
Si è parlato anche e di nuovo di ampliamento delle carceri e di costruzione di nuovi istituti di pena. Come mai i lavori però procedono così a rilento?
Questo non lo so. Le nuove carceri vanno bene per sostituire quelle fatiscenti e medioevali di oggi. Ma risolvere i problemi della criminalità costruendo più galere è un’illusione, una sconfitta ed anche un pericolo per le concezioni liberali di un paese democratico.
Sono queste le riforme essenziali per il pianeta giustizia? Non sarebbe meglio affrontare il nodo dell’obbligatorietà dell’azione penale e quello della separazione delle carriere?
Sarebbe certamente meglio, ed anche da perseguire rapidamente. Delle riforme di sistema si parla da qualche mese, tuttavia si ha il sospetto in qualche momento che si prepari qualche compromesso al ribasso, magari con accordi sottobanco con la magistratura mediati da qualche forza di centro. Gli avvocati penalisti questa volta non potranno accettare pateracchi, l’occasione non può essere persa per la consueta reverenza verso l’Anm. Il principio della terzietà del giudice e l’articolo 111 della Costituzione sono il frutto di battaglie ideali ed operative anche durissime dell’avvocatura penale. La nostra determinazione per sostenere chi vuole vere riforme è assoluta e inderogabile. Ma le riforme devono essere vere. Non si dimentichi che nel 2000 dieci milioni di cittadini si espressero, in un referendum, per separare le carriere: il consenso nel paese c’è, e la riforma del Csm è indispensabile come pure lo stop alla contiguità tra chi accusa e chi giudica. Non contro la magistratura ma nel suo stesso interesse, per recuperare credibilità presso i cittadini.
Come mai l’Italia con un numero di magistrati superiore in media a quello di ogni altra nazione europea è il paese in cui la giustizia funziona di meno?
Alla giustizia servono riforme legislative ma soprattutto, quanto al processo, capacità manageriali e organizzative per far funzionare gli uffici, le notifiche, le udienze, nonché le risorse economiche gestite imprenditorialmente.
Non crede che rimettere mano alla legge sulla responsabilità civile dei magistrati potrebbe essere un metodo per creare un valido stimolo per fare lavorare tutti meglio?
La legge è indispensabile. Sul punto l’Ucpi terrà a Firenze un grande convegno nazionale il 10 e l’11 ottobre.
di Dimitri Buffa
tratto dal sito: www.opinione.it

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