domenica, gennaio 04, 2009

Giustizia, Amato: «No ai teoremi dei Pm, ma c’è un problema di classe dirigente»


ROMA (4 gennaio) - Giuliano Amato sta rimettendo a posto le sue carte a casa e soffre un po’ il freddo.
Torinese, 70 anni ma solo all’anagrafe, ex premier, ministro dell’Interno, costituzionalista e tennista: infatti butta anche un occhio sulla tv dove va in onda il torneo di Abu Dhabi.
Parliamo di Napoli, dei giudici che incarcerano i politici, della politica che si ribella.
«E’ una questione non risolta dal costituente, che poi si è trascinata fino ad oggi. Sul ruolo dei pubblici ministeri si discusse molto nell’Assemblea costituente finendo con un compromesso. Anche per loro garanzie di indipendenza, ma non necessariamente quelle del giudice. Quali però la Costituzione non lo dice. E dopo, siamo rimasti a mezza via fra processo inquisitorio e processo accusatorio».
Lei come lo vorrebbe il pm?
«Ho sempre sostenuto una più rigorosa distinzione delle funzioni. La separazione delle carriere la vedo male. Perchè rischia di trasformare il pm in un super poliziotto».
Dunque?
«Invece di pensare a nuove norme, se ci fossimo chiesti: ma quale cultura hanno questi pubblici ministeri? Come li formiamo? Come mai così spesso capita che la teoria della Cupola, imparata giustamente in materia di lotta alla mafia, venga estesa altrove facendo prevalere impostazioni deduttive sulla ricognizione dei fatti? E’ un problema culturale. Preoccupiamoci dunque della formazione: il magistrato deve accertare prima i fatti, poi arrivare alla Cupola, e non viceversa».
Insomma fatti e non teoremi.
«Ricordo un bel film di Alberto Sordi la cui morale era: non sono io che devo provare che sono innocente, è lui che deve provare che sono colpevole. A dirla così è ovvia, ma ad essere Ottaviano Del Turco è ben diverso».
A proposito di Del Turco, c’è una bella fetta di Pd che ora si pente di non aver difeso subito i propri inquisiti.
«Appena fu arrestato fui il primo a dire che non ritenevo credibile una cosa simile. Non ho mai cambiato opinione. Da costituzionalista e non da garantista dico: c’è qualcuno che deve provare che lui abbia avuto dei soldi. Non è lui che deve provare di non averli avuti, sia chiaro».
Napolitano auspica il dialogo sulla giustizia. Il pd Tenaglia propone tre giudici anziché uno...vede spiragli?
«Giriamo sempre intorno alle stesse questioni. La proposta di rendere collegiale il Gip riemerge spesso nel corso degli anni. Fortunatamente da noi c’è scarsa memoria storica, quindi si fanno di continuo delle scoperte. Non mi riferisco a Tenaglia, parlo in generale. Anche io, in passato, non escludo d’averla fatta questa proposta».
Dica, dica.
«Non è mai andata avanti perché, come dicono Casson e gli altri, tre sono tanti e costano. La Consulta poi sostiene che chi fa il Gip dev’essere uno che non s’è mai occupato prima della questione e uno che non se ne occuperà dopo. Con questi chiari di luna dove la troviamo tutta questa gente? Il nostro asino casca sempre sullo stesso ostacolo. Povera creatura».
Il problema è avere la voglia e la forza di dialogare, no?
«Dialogare non vuol dire trovarsi d’accordo per forza. Il dialogo non è destinato all’intesa, ma è quel modo di discutere che può portare ad un’intesa. Se dico: con te non ci parlo, andate a morì ammazzati te e tua sorella... (Amato ride) è difficile trovare un’intesa».
Dunque, Berlusconi e Veltroni che dovrebbero fare?
«Non esiste altro modo di stare nelle istituzioni che dialogare. Non sentendosi obbligati ad andare d’accordo o a concluderlo. Ma trattando le questioni con la buona fede di chi, se poi ravvisa un pezzo di soluzione, la prende. La Dc e il Pci erano divisi da una questione di regime, ma riuscivano a intendersi in Parlamento su singole questioni».
Magari noi...
«Infatti è un segno della miseria dei tempi».
Sulle intercettazioni che pensa?
«Avevo collaborato attivamente al disegno di legge Mastella ed era un’ottima soluzione, che non impediva tuttavia ai magistrati di fare intercettazioni su un ampio ventaglio di reati, ivi inclusi quelli nella Pubblica amministrazione. Da ex ministro dell’Interno sconsiglio vivamente la limitazione».
Perché?
«Ho scoperto che la propensione a parlare per telefono è più invincibile delle propensioni erotiche».
Accidenti.
«Persone che tutto potevano aspettarsi fuorché di non essere controllate al telefono parlavano con una voluttà...cosa che fa felice il mio amico Bernabé in Telecom, ma che uno al Viminale benedice ugualmente. Aiuta molto».
La soluzione?
«Il magistrato deve distruggere ciò che è irrilevante. Punto».
E la stampa che pubblica?
«Voi siete l’ultimo anello, che non esime dalla responsabilità morale di non fornire materiale al voyerismo nazionale. E’ una questione di civiltà».

di Claudio Rizza

Tratto da: http://www.ilmessaggero.it.

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