venerdì, novembre 19, 2010

Cassazione: per gli avvocati pubblicità lecita, ma senza suggestioni ed equivoci.


Finisce con la «censura» definitiva della Cassazione l'esperienza di Alt (Assistenza legale per tutti), l'iniziativa di due avvocati milanesi – uno consigliere dell'ordine – che nel 2007 scesero letteralmente in strada per avvicinarsi alla clientela, sfruttando le liberalizzazioni pubblicitarie targate Bersani.
Secondo le Sezioni unite (sentenza 23287/10, depositata il 18/11/2010), la sanzione inflitta dal consiglio di Brescia nei confronti dei due legali, ribadita poi dal Cnf, è del tutto congrua e legittima, per aver utilizzato un acronimo (ALT) «suggestivo», volto a catturare clientela sfruttando un riflesso «emotivo» irrazionale, ed equivocando anche sul messaggio «prima consulenza gratuita» – in realtà un «generico inquadramento del problema».
Nessuna ombra sull'operato degli organi di autogiurisdizione dell'avvocatura, ma per la ragione assorbente che in materia di pubblicità la legge professionale del 1933(articolo 38) «non contiene una specifica tipizzazione di ipotesi di illecito»: spetta quindi ai consigli dare contenuto alla formula normativa che prevede il procedimento disciplinare per «gli avvocati che si rendano colpevoli di abusi o di mancanze nell'esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale».
Secondo la corte la ragione di una tale scelta legislativa, diffusa peraltro in diversi ordinamenti professionali, sta nella necessità di evitare che violazioni di doveri, anche gravi, possano sfuggire alla sanzione disciplinare.
Nel dettaglio il consiglio dell'ordine di Brescia ha dato contenuto all'articolo 38 del rdl 1578/1933 con il precetto astratto che vieta di «effettuare alcuna forma di pubblicità con slogan evocativi o suggestivi, privi di contenuto informativo professionale, e quindi lesivi del decoro e della dignità professionale».
Violazioni che l'esperienza di ALT ha commesso, a giudizio del Cnf, e su questa decisione il sindacato della corte non può che fermarsi alla congruità logica della motivazione, pienamente rispettata.

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