mercoledì, agosto 22, 2012

Avvocati: no al negozio in strada.

Rischia una sanzione disciplinare da parte dell'Ordine l'avvocato che svolge la sua attività in un vero e proprio negozio e pubblicizza proposte commerciali a costi molto bassi: è quanto hanno affermato le Sezioni unite civili della Corte di cassazione con la sentenza n. 14368 del 10 agosto 2012. Ad avviso del Massimo consesso di Piazza Cavour, è conforme a diritto la decisione del Consiglio nazionale forense secondo cui l'utilizzo delle espressioni l'“Angolo dei diritti” e “negozio” violano la dignità della professione in quanto hanno carattere prettamente commerciale e tendono a persuadere il possibile cliente attraverso un motto pieno di capacità evocativa emozionale, basandosi quindi su messaggi pubblicitari eccedenti l'ambito informativo razionale così come previsto dalla norma deontologica. In altri termini, il termine negozio non si addice all'individuazione di uno studio legale e non corrisponde al decoro della professione di avvocato, senza contare che l'uso di una simile espressione richiama immediatamente il carattere commerciale dell'iniziativa pubblicitaria. Per tirare le somme della lunga decisione si può dire che le Sezioni unite civili ammettono, in sostanza, solo una pubblicità che possiamo definire informativa, non ogni tipo di propaganda su prezzi «stracciati» praticabili dal professionista. Fra l'altro la decisione sembra essere di grande attualità perché leggendo la norma contenuta nella riforma delle professioni entrata in vigore a Ferragosto, rubricata, appunto, pubblicità informativa, il legale non potrà promuovere la sua attività come un commerciante. La neoapprovata riforma dice infatti che è ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni. La pubblicità informativa dev'essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere equivoca, ingannevole o denigratoria. La violazione di questi obblighi costituisce illecito disciplinare. La vicenda riguarda due professionisti che avevano aperto un vero e proprio negozio, da loro stesso definito sulla vetrina come «angolo del diritto». Fra l'altro i due avevano pubblicizzato servizi «a costi molto bassi». Per questo era scattata da parte dell'ordine la sanzione della censura. Il Consiglio nazionale forense aveva confermato la misura. Contro questa decisione i professionisti hanno presentato un articolato ricorso alla Suprema corte ma ancora una volta senza successo. Infatti, a parere del Massimo consesso di Piazza Cavour, il dl Bersani non ha sdoganato ogni forma di pubblicità ma solo quella che non leda il decoro della professione. E propagandare prezzi stracciati per servizi legali non è deolontogicamente corretto.

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