domenica, novembre 03, 2013

La figlia di Mubarak!

Quando Anna Maria Cancellieri diventò ministro dell’Interno, poi fu candidata al Quirinale, infine divenne ministro della Giustizia, il Fatto – come sempre – segnalò i suoi potenziali conflitti d’interessi familiari legati alla vecchia amicizia con la famiglia Ligresti, cliente da tempo immemorabile di procure, tribunali e patrie galere; e al ruolo del figlio Piergiorgio Peluso, alto dirigente prima di Unicredit, poi di Fonsai, infine di Telecom. In particolare ci occupammo della tragicommedia dei “braccialetti elettronici” per controllare i detenuti in libertà, un appalto di sette anni per centinaia di milioni rinnovato dal Viminale sotto la Cancellieri alla Telecom in cui andò a lavorare il pargolo.
Ma la parola conflitto d’interessi, dopo vent’anni di mitridatizzazione berlusconiana, suscita noia, fastidio, sbadigli. E morta lì.
Ora il conflitto d’interessi, da potenziale, diventa effettivo, concreto, reale: la ministra della Giustizia Cancellieri, amica dei Ligresti, telefona alla compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, appena arrestato per gravissimi reati finanziari insieme alle due figlie e a vari manager, per darle la sua solidarietà contro un provvedimento della magistratura che definisce “la fine del mondo”, “sono veramente dispiaciuta”, “c’è modo e modo”, “non è giusto”, “qualsiasi cosa io possa fare conta su di me”. Insomma, si mette a disposizione.
Ma non abbastanza per i gusti della Fragni, che si sfoga con la figlia: “Gli ho detto: ma non ti vergogni di farti vedere adesso? Tu sei lì perché ti ci ha messo questa persona… Ecco, capito? ‘Ah, son dispiaciuta’… No, non si è dispiaciuti! Sono stati capaci di mangiare tutti”.
Fra questi anche il rampollo Peluso. Almeno secondo Giulia Ligresti, che prima dell’arresto lo accusava di aver “distrutto la compagnia” nei pochi mesi di permanenza ai vertici di Fonsai: solo che “invece di chiedergli i danni”, “in consiglio nessuno ha fiatato” quando si decise di liquidarlo con 3,6 milioni (lei dice addirittura 5) di buonuscita dopo appena un anno, “approvato all’unanimità, che se fosse stato il nome di qualcun altro…”. Resta da capire chi sia “la persona” che “ha messo lì” la ministra. Chi siano i “tutti” che hanno “mangiato”.
E in che senso il “nome” di Peluso gli abbia garantito tutti quei milioni. Basterebbe questo per consigliare alla ministra di andarsene.
Ma c’è molto di più, perché il 17 agosto, quando la richiesta di scarcerazione di Giulia Ligresti per motivi di salute (anoressia e rifiuto del cibo) viene inizialmente rigettata dal gip di Torino, la Fragni chiama il quasi-cognato Nino perché mobiliti “quella nostra amica”. Che è la ministra della Giustizia. Lui la chiama, lei risponde.
Poi telefona ai vicedirettori delle carceri, Cascini e Pagano, perché intervengano. Infine avverte via sms Nino Ligresti: “Ho fatto la segnalazione”.
La scena ricorda parecchio le telefonate di B. da Parigi alla Questura di Milano per far liberare Ruby, appena fermata per furto, e affidarla a Nicole Minetti.
E le chiamate di Nicola Mancino al consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, per influenzare o spostare l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Ma stavolta – diversamente dai funzionari della Questura e dal duo D’Ambrosio-Napolitano – Cascini e Pagano rispondono che non si può fare niente, se non affidarsi alle normali procedure giudiziarie.
E stoppano sul nascere le pressioni della ministra, che per questo unico motivo non giungeranno mai sul tavolo dei magistrati di Torino.
I quali decideranno autonomamente di scarcerare Giulia Ligresti per motivi di salute, come prevede la legge, dopo il suo patteggiamento, mentre tengono tuttora in carcere la sorella Jonella, che non è malata e non ha patteggiato: la prova che nessun favoritismo è stato fatto dalla Procura e dal gip ai Ligresti amici della ministra.
La quale, due giorni dopo l’uscita della notizia, ancora finge di non cogliere lo scandalo e dice di aver fatto “il mio dovere” a scopo “umanitario”.
Ma il dovere di un ministro, quando riceve una segnalazione, è quello di dirottare il segnalatore alle autorità competenti: che, essendo la legge uguale per tutti, non sono l’amica ministra, ma i giudici attraverso gli avvocati difensori.
Che queste cose finga di non capirle la signora Cancellieri è comprensibile: difende la poltrona e, se ci riesce, la reputazione.
Ma che non le capiscano i politici, almeno quelli del Pd che giudicano un abuso di potere le telefonate di B. per Ruby, è sconcertante.
Pigolano “richieste di chiarimenti” e balbettano giaculatorie sulla “trasparenza”, come se la lettura delle intercettazioni non fosse abbastanza chiara e trasparente.
Si trincerano dietro il fatto che la Cancellieri non è indagata (e chi se ne frega: oltre alla responsabilità penale, c’è anche quella politica e morale). Sventolano il comunicato della Procura di Torino che nega di aver subito pressioni dalla ministra: ma non perché non ci siano state, bensì soltanto perché furono stoppate prima.
Finirà che, per salvare la madrina della figlia di Ligresti, crederanno pure al padrino della nipote di Mubarak.

Marco Travaglio
Da Il Fatto Quotidiano del 02/11/2013.

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