lunedì, novembre 03, 2014

LE ELEZIONI DEI VERTICI OUA, RACCONTATE DA CHI LE HA PERSE.

Non é agevole parlare di elezioni quando si perde. La sconfitta è pur sempre una ferita all'amor proprio e commentarla espone alla replica che tale commento sia frutto di acredine. Il nostro ambiente considera il perdere di per sé un disvalore e chi partecipa senza vincere, nella migliore delle ipotesi, un presuntuoso velleitario.
Io ho sempre scelto di partecipare (da protagonista, supporter ed anche da semplice elettrice), "mettendoci la faccia". Oggi per me il dato positivo, dopo tanto tempo, è quello di riconquistare il piacere di partecipare al dibattito, libera da ogni vincolo di prudenza che non sia quello del rispetto delle persone.
Per farlo, tuttavia, è necessario che affronti una volta per tutte l'esito di quest'elezione per lasciarmelo definitivamente alle spalle. E non sarò breve. Premetto che quando perdo non recrimino mai contro gli altri. Chi partecipa a qualunque competizione elettorale sa quali sono le regole e le prassi - buone e cattive - i limiti propri ed altrui, le armi che si possiedono, che non si possiedono o che altri ti lasciano.
È comunque una competizione, vince chi ha sbagliato di meno e comunque chi partecipa deve mettere in conto la possibilità che accada. Questo per liquidare la parte agonistica della vicenda.
A me, però, interessa l'analisi politica di questa tornata elettorale, che non può prescindere da una cronologia dei fatti dello scorso mese di ottobre, dal venerdì congressuale al venerdì elettorale (anzi, per essere più precisi, al giovedì vigilia di elezioni, dato che, per lo più, le elezioni all'OUA si vincono il giorno prima).
Come è noto tutti noi siamo arrivati al Congresso senza discutere della futura dirigenza, in attesa dell'approvazione della mozione che avrebbe dovuto trasformare radicalmente lo statuto e la stessa natura dell'OUA.
Un approccio superficiale e ottimista non giustificato dal modus operandi dei maggiori protagonisti di questo congresso. Basterebbe ricordare che delle 6 mozioni statutarie principali, quattro provenivano dai commensali, stabili e/o occasionali, della stessa "tavolata".
Ed infatti, in questo gioco a chi è più bravo, più forte o più idealista, tutte le mozioni venivano pesantemente bocciate dimostrando sostanzialmente che nessuna componente dell'avvocatura è in grado di prevalere sulle altre, che in questa categoria tutti vogliono parlare ma nessuno è capace di ascoltare e che, pertanto, si comincia parlando di rappresentanza e si finisce per rappresentare soltanto se stessi.
Ad ogni modo la bocciatura sonora di tutte le mozioni generava una fase di temporanea fibrillazione, con correlata necessità di trovare chi avesse perso di più. A tale fibrillazione si è reagito in vario modo.
Da un lato la corrente che potremmo chiamare "degli amministrativisti" che disquisiva del fiorire di pareri che sarebbero stati resi a caldo da illustri specialisti, secondo i quali la bocciatura di mozioni aventi ad oggetto la modifica di uno statuto determinasse automaticamente l'illegittimità dello statuto non modificato.
Attorno a tale ardita teoria giuridica nascevano singolari apparentamenti tra cui i componenti della giunta uscente dell'OUA e taluni presidenti di ordine notoriamente impegnati nella creazione di altri e diversi organismi. Qualcuno, più ardimentoso che autorevole, giungeva a sostenere pubblicamente che i nuovi delegati non andassero eletti e che dovesse rimanere in piedi il solo ufficio di presidenza dell'OUA in attesa che "i saggi" realizzassero in "30, 60, 90 giorni" il nuovo organismo.
In ogni caso l'invito pressante e ricorrente era quello di convocare subito il Congresso straordinario (forse perché a quest'ultimo ci si era divertiti moltissimo) a cui affidare le stesse decisioni che a Venezia erano state bocciate. Dall'altra parte, descamisados ed avanguardisti festeggiavano una non meglio precisata "vittoria della base" inneggiando al principio "un avvocato un voto" (espressione che a mio avviso non vuol dire un granché) dimenticando che i delegati vengono eletti nei propri Fori perlopiù senza riferimento ad alcuna linea politica, in una contesa che - quando è vera - serve solo in chiave di posizionamento o consolidamento di equilibri locali in vista di successive elezioni dei COA di cui, comunque e di regola, le delegazioni sono espressione.. Frattanto c'era chi, responsabilmente e senza indugio, si limitava a rispettare le regole esistenti e procedeva con le elezioni dei delegati. A ruota, poi, anche chi aveva tentato di impedirle.
La platea congressuale pertanto, superata la fase di confusione, si avviava stancamente alla conclusione, procedendo distrattamente all'approvazione delle mozioni politiche (siamo stati in grado di approvare persino due mozioni di segno contrapposto) ed alla proclamazione della nuova assemblea OUA.
Da lunedì 13 ottobre è cominciata, quindi, la corsa ad immaginare quale presidente e quale giunta dovessero guidare il neonato organismo, scelta non facile dato che l'assemblea elettiva veniva da subito convocata per il 31 ottobre, sia in ossequio alle norme statutarie in materia sia per non lasciare troppo a lungo l'Organismo privo di leadership.
Per quanto mi riguarda avevo appreso a che Mario Diego era stato eletto quale delegato per il suo distretto e ne ero stata felice.
La scelta, per me naturale, aveva una duplice ragione, relativa alla persona ed alla situazione circostante: in tanti abbiamo potuto apprezzare per anni lo spessore anche culturale, la capacità organizzative e di indirizzo, l'esperienza e l'abilità nell'interlocuzione con ogni componente dell'avvocatura e con i singoli, l'indipendenza e l'autonomia da condizionamenti interni ed esterni e le doti umane e morali dell'Avv. Diego.
Non ultimo, avere fatto parte di coloro che hanno voluto, creato e difeso l'Organismo politico dell'avvocatura. Mi parevano qualità imprescindibili in questo momento di crisi e, con questo spirito, mi sono spinta a chiedergli che intenzioni avesse e se fosse disponibile a mettersi in gioco per dare una risposta di contenuti ad un congresso di parole dall'esito modesto.
Ho atteso per alcuni giorni che valutasse la sua situazione territoriale ma anche i costi personali ed economici che tale scelta gli avrebbe comportato ed infine mi ha comunicato che si sarebbe candidato chiedendomi di condividere da protagonista una impresa che non ha mai considerato individuale. E così scendevamo in campo con consapevolezza e con la pacata accettazione di ogni inevitabile regola del gioco.
Veniva frattanto ufficializzata soltanto la candidatura di Michele Sarno. Trascorsi i primi giorni, durante i quali la sola attività possibile era stata quella di verificare se tale candidatura registrasse un generale gradimento, il 17 ottobre ci incontravamo a Roma per potere ragionare sulla squadra possibile, sperando di potere operare un giusto equilibrio tra " componenti elettoralmente inevitabili" e componenti utili alla migliore realizzazione del progetto, che fossero espressione di tutto il territorio ma anche in grado di apportare un contributo qualificato di esperienza, idee, novità ed entusiasmo. Sapevamo che, volenti o nolenti, nessuna maggioranza può prescindere dal posizionamento delle delegazioni di Roma, Milano e Napoli (soprattutto se almeno due di esse viaggiano compatte) e non ci siamo sottratti alla poco commendevole trattativa con i referenti (capi) di queste, ricevendo ( almeno così avevamo capito) l'assenso di Milano e Roma, mentre risultava impossibile discutere con Napoli, almeno con il suo "capo delegazione" sottrattosi incomprensibilmente a qualunque ipotesi di dialogo e persino di banale conversazione.
Nello stesso fine settimana, a Matera, i mai rassegnati estimatori di "federordini", riuniti in conclave, provavano a ragionare sulla possibilità di affidare iniziativa e rappresentanza politica ad altro tipo di organismo, riunione che si concludeva con una sospensione dei lavori ed una ripresa successiva all'elezione dei vertici OUA.
Nello stesso fine settimana, a Roma, parte della giunta uscente, la stessa che non avrebbe voluto rieleggere l'assemblea con queste regole, si riuniva per lanciare la candidatura di Mirella Casiello, resa pubblica soltanto nell'ultima settimana.
Da li un susseguirsi di notizie, vere, false o tendenziose secondo la migliore tradizione elettorale, di lettere di delegati che chiedevano di spostare l'attenzione sui contenuti e posizionamento degli stessi che prescindeva dai contenuti richiesti, con Roma e Napoli sempre più sfuggenti che attendevano appunto il giovedì sera per comunicare asetticamente la loro adesione alla candidatura della neo presidente.
A suggellare il significato numerico di tale scelta la dichiarazione di adesione a tale candidatura dell'irresistibile Maurizio De Tilla. A noi, naturalmente, restava uno scomodo cerino acceso. L'atmosfera degli schieramenti era palpabile fin dall'ingresso nella sala dell'assemblea, con la giunta uscente schierata in attesa di festeggiare.
Interessante la coreografia scelta dallo schieramento avversario, con tanto di sfilata in pieno stile newPD, della squadra "vincente", ad evidenziare su quali supporter si faceva affidamento, con un piccolo cameo celebrativo della spaccatura consumatasi a Palermo.
Mario Diego, cui non difetta la sensibilità, reagiva con evidente emozione, sfociata in qualche insicurezza, ad uno scenario che appariva già deciso e che, nei numeri, ha dato un risultato anche più netto di quanto - a onor del vero - ci attendessimo.
Una precisazione doverosa: la sola, effettiva, vittoria elettorale è quella di Mirella Casiello visto che, come è noto, dopo la sua elezione, sono state ritirate tutte le altre candidature "non allineate", prima fra tutte la mia alla vicepresidenza, perché abbiamo ritenuto che la partecipazione ad una giunta, tanto più di un organo politico, non sia un fatto personale ma indichi l'adesione ad un progetto.
Il nostro ritiro non ha potuto impedire, tuttavia, il dovere procedere ai sensi di statuto, alla pur formale votazione delle altre cariche alla quale i candidati della cordata vincente hanno partecipato senza candidati avversari. Tutto questo è già il passato e non vi è dubbio che non rispondesse alla mia idea di rilancio dell'avvocatura.
Oggi il presente porta il nome della presidente Casiello. Non è mio costume esibirmi in congratulazioni di circostanza e non lo farò neanche questa volta. Avrei preferito sapere che la scelta operata dalla maggioranza fosse rispondente all'adesione ad un chiaro progetto politico - seppur diverso dal mio - piuttosto che a ragioni che non si è ritenuto neppure di dovere esplicitare.
Ho provato a capire, ma tutto quello che ho sentito è che dalla mia parte eravamo presuntuosi e saccenti, antipatici e poco conviviali e, persino, che non mi fossi preoccupata di assicurarmi i preventivi appoggi (autorizzazioni?) prima di imbarcarmi in questa vicenda.
Io, in verità, ero occupata ad immaginare un organismo che parlasse del ruolo dell'avvocato in una società globale che non tutela più i diritti della persona, che si occupasse della capacità degli avvocati di affrontare da protagonisti la crisi economica del paese, trovando al proprio interno le risposte anche di natura economica che consenta di riposizionarsi nel mercato, che affrontasse il tema della giurisdizione statale in uno Stato che ha già trasferito la parte più consistente della tutela degli interessi ad Autority o autorità garanti che decidono al di fuori di ogni controllo.
Questo è ciò che mi sarebbe piaciuto sentire. Ed anche che gli 88 componenti dell'assemblea dell'OUA sono una risorsa che dobbiamo imparare a sfruttare e non gli esponenti di un club ricreativo che disturbano il cammino "dei saggi".
Non mi interessa sapere se fra sei mesi faremo un altro congresso per soddisfare chi non è riuscito a vincere questo e neppure se è vero o no che il PD sia stato determinante in questa elezione, soltanto perché una collaboratrice del Ministro, tale Patrizia Papale (amica personale della giunta uscente) era presente alla nostra assemblea.
Al tempo stesso, però, non starò con chi aspetta soltanto che la Presidente faccia un passo falso né mi interessa attendere il momento in cui potrò dire "io lo avevo detto".
Per me il ragionamento su ciò che è stato si chiude oggi con questo lungo intervento. Per quel poco che conosco la Casiello, mi pare di potere ravvisare un grado di determinazione ed autonomia che forse sorprenderà anche chi né ha voluto l'elezione.
Le auguro di comprendere velocemente quanto serve per esercitare proficuamente il suo ruolo, di ascoltare tutti - amici, pseudo amici, ruffiani ed avversari - e poi di decidere sempre e comunque.
Le auguro di potere lavorare serenamente per due anni e di potere ottenere, forte del consenso dei grandi Ordini che l'hanno sostenuta, i contributi economici che ogni ordine è obbligato a dare e che sono indispensabili per fare politica in modo autonomo ed indipendente.
Le auguro, soprattutto, di non avere mai paura di fornire ogni spiegazione ed informazione sulla sua gestione affinché l'Organismo - come ogni altro organo dell'avvocatura - sia davvero trasparente ed a disposizione di tutta l'avvocatura. Le auguro, più semplicemente, buon lavoro.
Concludo ringraziando molto, molto, Mario Diego per averci consentito di usare il suo nome, la sua faccia e la sua storia in questa iniziativa. Ai miei amici e colleghi di cordata Alessandro Moro, Melania Delogu, Marco Angiolillo e Elisa Minerva il riconoscimento di una partecipazione politica intensa e qualificata, non condizionata da esigenze autocelebrative e autopromozionali.
Ringrazio ancor di più i numerosi amici, quelli che sono stati al nostro fianco, rinunciando a giocare su tutti i tavoli, che non cito rispettosamente per non accomunarli al resoconto di una sconfitta.

Avv. Annamaria Introini

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