sabato, febbraio 28, 2015

Urge chiusura immediata del supermercato delle correnti togate.

Roma febbraio 28, 2015 - Il ministro della Giustizia si chiama Andrea Orlando, ma purtroppo non ha il crisma del paladino. Sulle correnti giudiziarie, per esempio, nel suo primo anno da guardasigilli si è lasciato scappare appena poche parole.
Mesi fa lo si è sentito ventilare «una riforma del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura che diluisca il peso delle correnti».
Poi, di recente, ha cambiato idea: «Eliminare le correnti è un errore».
Eppure le correnti sono centrali, nel disastro della giustizia italiana. Non soltanto perché, com’è del tutto evidente, è assurdo che un magistrato inquirente o un giudice, cui è proibito per legge iscriversi a un partito, possano avere una connotazione politica di parte.
Ma anche perché le correnti governano il Csm, che è l’organo costituzionale cui spetta il doppio, delicatissimo compito di amministrare le carriere dei circa 9 mila magistrati.
È il Csm che decide trasferimenti e promozioni negli uffici più importanti (es.: vertici delle procure), ma anche le sanzioni. Ed è esattamente lì, tra il bastone e la carota del Csm, che inizia il disastro.
Vediamo di scomporre il meccanismo. Le correnti sono grosso modo quattro.
Due sono di sinistra: Magistratura democratica, nata nel 1964 all’ombra del Pci, oggi genericamente di centrosinistra; e Movimento per la giustizia, che nasce come cartello elettorale tra due gruppi di sinistra, i Verdi e Articolo 3.
Le altre due sono genericamente centriste e maggioritarie: Unità per la Costituzione e Magistratura indipendente.
Un magistrato che decida di stare fuori da uno di questi “partiti” è in partenza svantaggiato.
Certo, farà carriera, visto che grazie a due leggi del 1966 e del 1973 è automatica: chiunque passi l’esame di Stato sa in partenza che gli basterà sopravvivere qualche decennio per ottenere lo stipendio di un presidente di Corte di cassazione. Ma non ne avrà certamente il ruolo.
Perché il suo nome non entrerà mai nel mercato delle vacche che le correnti celebrano nel Csm: io voto il tuo candidato a quel certo ufficio, se però tu voti il mio per quell’altro; io aiuto il tuo magistrato a non essere colpito dalla punizione (che magari merita), ma ovviamente tu aiuti il mio.
Le trattative sono quotidiane, serrate, frequentissime: immaginatevi che quest’anno il Csm dovrà fare 483 nomine ai vertici degli uffici giudiziari, 284 per incarichi direttivi e 199 per incarichi semidirettivi. Sarà un supermercato.
Interdetti? Stupiti? Perplessi? Sbagliate. Perché è anche peggio di quel che sembra.
Un onesto giudice lombardo, un “senza corrente” che tiene al suo anonimato come alla vita, spiega che questo scambismo correntizio ha effetti osceni sulla stessa amministrazione della giustizia. E la storia che racconta è terrorizzante.
Prendiamo un certo pubblico ministero, un uomo di fama impegnato a sostenere l’accusa in un importante procedimento davanti a un certo giudice o a una certa corte. Mettiamo che il pm sia della corrente A, e il giudice appartenga alla corrente B.
Per mesi la cronaca giudiziaria ha celebrato l’attività del magistrato inquirente, ed ecco che si avvicina la sentenza. Il pm tiene al risultato, com’è giusto. Ed è allora che parte un gioco sommerso di pressioni, segnalazioni, intercessioni.
Accade perfino che delegazioni di corrente si spingano a contattare il giudice. Gli viene spiegato che la corrente A è fondamentale per ottenere una certa promozione che la corrente B ha chiesto per un suo magistrato.
E gli si fa capire che, se la sentenza sarà negativa per il pm, è probabile che al Csm i suoi amici di A non saranno molto disponibili ad allinearsi. Ovviamente il giudice è libero di agire come crede.
Ma siete convinti sia sempre facile dire no alla corrente cui hai affidato il tuo destino professionale? Meditate, gente, meditate.
E mediti soprattutto il ministro Orlando.

Maurizio Tortorella

Tratto dal sito: www.tempi.it

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