domenica, maggio 01, 2016

L’aumento dei termini di prescrizione è ingiusto e non risolve i problemi.

La prescrizione risponde ad una regola di civiltà e costituisce una garanzia essenziale per i cittadini. Non può essere superficialmente considerata, come spesso appare, il premio conseguito dai furbi, che si avvantaggiano dalla inefficienza e dalla durata del processo, sottraendosi alla condanna.
Non di rado costituisce il percorso di una lunga afflizione cui l`innocente è sottoposto, se si protrae una ingiusta incertezza.
Lasciando da parte queste, che possono essere valutazioni soggettive legate a stati d`animo, vi è un principio giuridico che impone termini ragionevoli per la prescrizione.
La pretesa punitiva dello Stato non può essere esercitata indefinitamente nel tempo, lasciando la persona, ogni persona, nella posizione non di innocente o colpevole, ma di “giudicabile”.
I termini della prescrizione, a partire da quando il reato è stato commesso, sono stabiliti in relazione alla sua gravità, quale è ordinariamente misurata dalla durata della pena che può essere inflitta. I tempi della prescrizione possono anche essere determinati per le singole fasi del processo.
Ci possono essere sospensioni e interruzioni del decorso della prescrizione. Ma alla fine è il tempo complessivo che conta, e gioca per valutare la ragionevole durata del processo.
La Convenzione europea dei diritti dell`uomo, per la cui violazione il nostro Stato più volte ha subito condanne dalla Corte di Strasburgo, stabilisce il diritto di ogni persona ad un`equa e pubblica udienza, entro un termine ragionevole, per stabilire la fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.
Si ha diritto ad una decisione definitiva, di innocenza o di colpevolezza.
La Costituzione si è accodata, stabilendo formalmente, con una legge costituzionale del 1999, il principio della ragionevole durata del processo, che si poteva ritenere implicitamente compreso nel diritto fondamentale di difendersi in giudizio, che la legge deve assicurare.
In base a questo principio ci si deve chiedere se sia ragionevole la durata di un processo che, sia pure per un reato particolarmente odioso, come abbiamo detto essere la corruzione, può portare alla assoluzione o alla condanna definitiva dopo oltre venti anni da quando il fatto è stato commesso.
Quando, inoltre, si giudicherebbe non un reato, ma la “storia” di un reato, mentre la pena perderebbe del tutto la finalità rieducativa, che la Costituzione impone, e che richiede una distanza temporale ragionevole, appunto, tra il compimento dell`azione che viene punita, la condanna e la espiazione della pena.
Chi manifesta riserve sull`aumento dei tempi della prescrizione si colloca nel campo di chi vuole indebolire la lotta alla criminalità ed alla corruzione. Nient`affatto.
Significa segnalare come sia illusorio risolvere il cattivo funzionamento dell`organizzazione giudiziaria, che determina un gran numero di processi estinti per prescrizione, spostando semplicemente l`asticella del tempo.
Sarebbe far pulizia mettendo la polvere sotto il tappeto.
Se si verifica empiricamente quali sono i tempi morti del processo, e quante volte singoli atti devono essere rinnovati per errati adempimenti non tempestivamente rilevati, ci si rende conto che le carenze organizzative determinano in larga misura la prescrizione e che le regole sostanziali e processuali non risolvono questo problema.
Cesare Mirabelli

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