mercoledì, dicembre 27, 2017

Deontologia forense: l’esercizio d’attività processuale dopo la morte della parte.

“L’esercizio di attività processuale, anche dopo la morte della parte, ha natura eccezionale in quanto finalizzata ad evitare l’insorgere di eventuali pregiudizi in danno agli aventi causa e non può in ogni caso prescindere da una compiuta informativa a favore di questi ultimi, sicché non può fondarsi su iniziative personali ed assunte in totale autonomia dal difensore”.

Consiglio Nazionale Forense (pres. Picchioni, rel. Masi), sentenza del 6 novembre 2017, n. 152.

sabato, dicembre 23, 2017

Il patteggiamento innanzi a Giudice incompetente per territorio.

Cassazione Penale Sez. II; Sent. num. 56424/2017; Presidente: FIANDANESE Relatore: PARDO; Data Udienza: 14/12/2017.

“La richiesta di patteggiamento implica rinuncia all'eccezione d'incompetenza per territorio, la quale, a differenza del difetto di giurisdizione e dell'incompetenza per materia, nei limiti della prima parte del primo comma dell'art. 21 cod. proc. pen., non ha natura inderogabile e non può pertanto essere rilevata "ex officio" (Cassazione Penale Sez. 3, Sentenza n. 44132 del 07/10/2008). Difatti la legge non demanda il giudice, tra le verifiche che deve compiere in ordine all’intervenuto accordo sulla pena, anche quella sulla sussistenza della proprio competenza per territorio, la quale, perciò, non può essere rilevata di sua iniziativa (anche se prima dell'accordo la questione sia stata prospettata dall'imputato interessato), a differenza del difetto di giurisdizione e dell'incompetenza per materia, nei limiti della prima parte del comma 1 dell'art. 21 cod. proc. pen., il cui rilievo si sottrae ad ogni preclusione di carattere temporale e processuale, ne' può costituire oggetto di valida rinuncia”.

venerdì, dicembre 15, 2017

Il principio di “non contestazione” nel processo civile.

“La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che il principio di non contestazione riguarda i fatti primari (costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto azionato) e non quelli secondari, dedotti in funzione probatoria (cfr. Cass. 13/09/2016 n.17966 e giurisprudenza ivi richiamata) . Talune voci di dottrina hanno prospettato l'eventualità di estendere il principio di non contestazione anche ai fatti secondari, in virtù del nuovo testo dell'art. 115 co. 1° cod. proc. civ. come sostituito dall'art. 45 legge n. 69/09; nondimeno è dirimente osservare che si tratta di novella applicabile solo ai giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della legge n. 69/09 (v. relativo art. 58) mentre il presente giudizio è stato instaurato con ricorso di primo grado depositato il 23 marzo 2006 . E' stato inoltre precisato che l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice di merito (Cass. 21/06/2016 n. 12748)”. 

 Cass. Civile Sez. Lavoro; Sent. num. 30089/2017; Presidente: AMOROSO Relatore: PAGETTA; Data pubblicazione: 14/12/2017.

lunedì, dicembre 11, 2017

Deontologia: l’assenza ingiustificata del difensore d’ufficio di turno all’udienza.


“Integra illecito deontologico il comportamento del difensore d’ufficio di turno che, senza addurre né comprovare un legittimo impedimento, non partecipi -personalmente o tramite un proprio sostituto- all’udienza comunicatagli per tempo. Tale condotta, peraltro, non può ritenersi scriminata dal fatto che nessun pregiudizio sia derivato all’assistito, potendo ciò rilevare, semmai, ai fini d’una eventuale riduzione della sanzione disciplinare (Nel caso di specie, nonostante l’assenza dell’avvocato di turno all’udienza comunicatagli il giorno precedente, l’imputato veniva comunque assistito da altro difensore d’ufficio prontamente reperito. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione dell’avvertimento, in luogo della censura comminata al professionista dal Consiglio territoriale)”.

 Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Siotto), sentenza del 10 ottobre 2017, n. 146.

domenica, dicembre 10, 2017

Appello penale del PM: obbligo di rinnovazione prove decisive, laddove diversamente valutate.

“E’ affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533, comma primo, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell'art. 603, comma terzo, cod. proc. pen. (Cass. Pen. Sez. Unite n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492).
L'obbligo di rinnovare l'istruttoria dibattimentale si estende al caso in cui, come nella specie, il giudice di appello riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva (Cass. Pen. Sez. Unite n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489)".

Cassazione Penale Sez. V; Sent. Num. 54878-2017 Presidente: PALLA -Relatore: MOROSINI; Data Udienza: 28/11/2017.

lunedì, novembre 27, 2017

Arricchimento senza causa e difetto di sussidiarietà dell’azione.

Cassazione Civile Sez. 2 - Sent. Num. 27916/2017; Presidente: MAZZACANE Relatore: CORTESI; Data pubblicazione: 23/11/2017. 

“Infondato è, infine, anche il quarto motivo di ricorso, con il quale la ricorrente si duole del mancato accoglimento della propria domanda di indennizzo ex art. 2041 cod. civ. (arricchimento senza causa) per ritenuto difetto di sussidiarietà.
Così statuendo, infatti, la corte d'appello ha dato continuità al noto e consolidato principio secondo cui tale azione non è proponibile ogni qual volta - come nel presente caso- il danneggiato possa esercitare azioni tipiche per farsi indennizzare del pregiudizio subito, azioni la cui esistenza va valutata in astratto, prescindendo dall'esito concreto della loro eventuale esperibilità (cfr. ex multis: Cass. Civ. 03.10.2007 n. 20747)”.

sabato, novembre 18, 2017

Appello civile: le Sezioni Unite chiariscono i limiti della sua ammissibilità.

Corte di Cassazione Civile Sez. Unite - Sent. num. 27199/2017 - Presidente: AMOROSO Relatore: CIRILLO - Data pubblicazione: 16/11/2017. 

«Gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Resta tuttavia escluso - in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio d’appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata - che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado».

giovedì, novembre 16, 2017

Il fallimento della parte non interrompe il giudizio di cassazione.

Corte di Cassazione Civile - Sez. I - Ord. Num. 27143/2017; Presidente: GIANCOLA -Relatore: VALITUTTI; Data pubblicazione: 15/11/2017. 

"Va ritenuto, in via pregiudiziale, che l'intervenuto fallimento della Praxxx s.p.a., dichiarato dal Tribunale di Torino con sentenza n. 1xx/20xx, evidenziato dalla odierna resistente nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., non abbia rilevanza alcuna nel presente giudizio di legittimità.
In tema di giudizio di cassazione, invero, l'intervenuta modifica dell'art. 43 legge fall, per effetto dell'art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui recita che «l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo», non comporta una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità posto che in quest'ultimo, che è dominato dall'impulso d'ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (Cass. 13/10/2010, n. 21153; Cass. 05/07/2011, n. 14786; Cass. 17/07/2013, n. 17450)”.

mercoledì, novembre 15, 2017

Il reato di furto in locale munito di videosorveglianza.

Corte di Cassazione Penale Sez. II - Sent. num. 51976/2017 - Presidente: DAVIGO Relatore: DE SANTIS - Data Udienza: 31/10/2017. 

“La giurisprudenza di legittimità nella sua massima espressione nomofilattica ha affermato il principio che, in caso di furto in supermercato, il monitoraggio dell' azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo "in continenti", impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014 , Pg in proc. Prevete e altro, Rv. 261186).
Pertanto, integra il tentativo di rapina impropria (fattispecie complessa, integrata da una condotta di sottrazione tipica del furto, cui si aggiunge l'elemento della violenza alla persona o della minaccia), la condotta dell'agente che, dopo aver sottratto merce dai banchi di vendita di un supermercato ed averla occultata sulla propria persona, al fine di allontanarsi, usa violenza nei confronti dei dipendenti dell'esercizio commerciale che lo hanno colto in flagranza e trattenuto per il tempo necessario all'esecuzione della consegna agli organi di Polizia (Sez. 2, n. 50662 del 18/11/2014 , Ziino, Rv. 261486; n. 46412 del 16/10/2014, Ruggiero, Rv. 261021); nel senso dell'irrilevanza dell’impossessamento ai fini della consumazione della fattispecie ex art. 628, comma 2, cod.pen. (Sez. 2, n. 11135 del 22/02/2017 Tagaswill, Rv. 269858).

A SALERNO FACCIAMO LE COSE IN GRANDE!!


martedì, novembre 14, 2017

Quando la partecipazione del praticante avvocato, alle procedure di negoziazione, vale come "pratica forense"?


Il COA di Bologna ha chiesto di sapere se la partecipazione alle riunioni – incontri in sede di mediazione ex d. lgs. n. 28/2010, sia di natura obbligatoria che delegata o delle altre ADR può essere equiparata alla partecipazione alle udienze in sede giurisdizionale, ai fini della pratica professionale. (Quesito n. 287, COA di Bologna)
La risposta del CNF è stata nei seguenti termini.
L’art. 8, comma 4 del DM 70/2016 prevede che: “Il consiglio dell’ordine esplica i propri compiti di vigilanza anche mediante verifica del libretto del tirocinio, colloqui periodici, assunzione di informazioni dai soggetti presso i quali si sta svolgendo il tirocinio. Accerta, in particolare, che il praticante abbia assistito ad almeno venti udienze per semestre, con esclusione di quelle di mero rinvio, e abbia effettivamente collaborato allo studio delle controversie e alla redazione di atti e pareri. Richiede al praticante la produzione della documentazione ritenuta idonea a dimostrare lo svolgimento di attività…”
D’altro canto, l’art. 8, comma 2 del DM 70/2016 prevede che: “Gli avvocati sono tenuti, nei limiti delle loro possibilità, ad accogliere nel proprio studio i praticanti, istruendoli e preparandoli all’esercizio della professione, anche per quanto attiene all’osservanza dei principi deontologici”. Sottolinea la Commissione l’importanza che la formazione del praticante debba riguardare anche il procedimento di mediazione e in genere tutti i procedimenti di soluzione della lite alternativi alla giurisdizione; e a tal fine ritiene che ben possano essere computati nel novero delle udienze cui il praticante deve assistere ai sensi dell’art. 8, comma 4 del DM 70/2016 anche incontri svolti davanti al mediatore, a condizione che in detti incontri la mediazione sia stata effettivamente svolta (ad esclusione quindi del primo incontro), ed a condizione che la sua presenza sia documentata. Analogamente può dirsi per quanto attiene alle altre ADR, che si svolgano avanti ad un organo terzo, con esclusione quindi del procedimento di negoziazione assistita.

Consiglio nazionale forense (rel. Secchieri), parere 12 luglio 2017, n. 55

mercoledì, novembre 01, 2017

Opposizione a sanzione amministrativa: il termine per il deposito della documentazione, da parte dell’Amministrazione, non è perentorio.

Cassazione Civile Sez. II - Sent. num. 25735/2017 -Presidente: PETITTI Relatore: ABETE - Data pubblicazione: 30/10/2017. 

 "Va innanzitutto condiviso e recepito il rilievo - tra gli altri - della Corte di Palermo secondo cui "la successiva costituzione in giudizio dell'Avvocatura, con la memoria depositata il 18 dicembre 2002, ha sanato con ogni evidenza (quanto meno ex nunc) qualsiasi eventuale precedente irregolarità" (così sentenza d'appello, pag. 4).
E ciò tanto più che il giudizio introdotto dall'opposizione avverso l'ordinanza irrogativa di sanzione amministrativa, di cui all'art. 22 della legge n. 689/1981, obbedisce a criteri di minore rigore formale anche per la non obbligatorietà della difesa tecnica (cfr. Cass. 26.4.2006, n. 9580; Cass. 13.10.1986, n. 5985). E' da negare categoricamente, perciò, che "il contraddittorio non si è validamente costituito" (così ricorso, pag. 101).
Va poi ribadito l'insegnamento di questa Corte a tenor del quale, nel procedimento di opposizione all'ordinanza - ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, il modello processuale prefigurato dal legislatore, governato dal principio dispositivo (temperato dai poteri officiosi del giudice, ex art. 23, 6° co., della legge n. 689/1981), non prevede particolari sanzioni processuali (salvo quella, a carico dell'opponente, stabilita dal 5° co. del citato art. 23) per omissioni o ritardi di attività delle parti, né inficia di nullità eventuali deviazioni dal modello stesso, poste in essere dal giudice (salvo quella della pronuncia della sentenza mediante lettura del dispositivo in udienza), sicché l'inosservanza, da della legge n. 689/1981), non prevede particolari sanzioni processuali (salvo quella, a carico dell'opponente, stabilita dal 5° co. del citato art. 23) per omissioni o ritardi di attività delle parti, né inficia di nullità eventuali deviazioni dal modello stesso, poste in essere dal giudice (salvo quella della pronuncia della sentenza mediante lettura del dispositivo in udienza), sicché l'inosservanza, da parte dell'autorità che ha emesso il provvedimento opposto, del termine per il deposito dei documenti relativi all'infrazione (fissato, dall'art. 23, 2° co., della legge n. 689/1981 in dieci giorni prima dell'udienza di comparizione), indipendentemente dalla tempestività della sua costituzione, non implica, in difetto di espressa previsione di sua perentorietà, alcuna decadenza, né rende la relativa esibizione nulla, ma meramente irregolare (cfr. Cass. 20.12.2016, n. 26362).
Ingiustificato è pertanto l'assunto del ricorrente secondo cui "il mancato deposito della documentazione nei termini prescritti comporta (...) che la stessa vada stralciata dal giudizio [e che] le difese spiegate dal Ministero (...) avrebbero dovuto ritenersi tamquam non essent" (così ricorso, pag. 102)".

Auspichiamo che il C.O.A. di Salerno adotti medesimo deliberato.

venerdì, ottobre 27, 2017

Possono gli eredi chiedere la correzione di errore materiale, in una sentenza ottenuta dal de cuis?

CORTE DI APPELLO DI SALERNO 
PRIMA SEZIONE CIVILE 
La Corte di Appello di Salerno riunita in Camera di Consiglio in persona dei Magistrati:
Dott. Ornella Crespi - Presidente rel.
Dott. Licia Tomay - Consigliere
Dott. Giuseppina Alfinito - Consigliere
Sciogliendo la riserva, assunta nel procedimento per correzione di errore materiale contenuto in sentenza n. 303/16 resa in causa civile iscritta al n. 1376/08, ha pronunziato la seguente
ORDINANZA 
Letti gli atti del procedimento n. 1376/08;
Letta la sentenza n. 303/16 resa dal Collegio in data 8.06.2016 pubblicata in data 9.06.2016;
Letta la istanza di correzione depositata in data 28.04.2017;
Disposta la udienza di comparizione delle parti, con regolare instaurazione del contraddittorio; Rilevato che le parti istanti lamentano la erronea indicazione del nominativo dell’appellato e che la controparte nel costituirsi confuta la istanza e ne chiede il rigetto;
Ritenuto che si appalesa inammissibile la istanza proposta da Ixxxx Sxxxx e Ixxxxx Axxxxx nella qualità di eredi di Ixxxx Pxxxxx, originaria parte processuale, sulla considerazione che la legittimazione a proporre istanza di correzione presuppone la qualità di parte del processo, posto che il provvedimento di correzione, secondo la giurisprudenza consolidata, ha natura amministrativa, in quanto non modifica minimamente il contenuto della decisione corretta, ma serve soltanto ad eliminare meri errori materiali e perciò a rendere aderente l'elemento rappresentativo a quello sostanziale del decisum, ed esso non introduce quindi neppure una nuova fase processuale, ma costituisce un mero incidente nello stesso giudizio.
Sicché, dovendo, in base all'art.287 cod.proc.civ., la procedura di correzione attivarsi ad istanza delle parti interessate e pregiudicate dall'errore (che sono peraltro, in genere quelle vincitrici), le stesse non possono che identificarsi nuovamente con quelle nei cui confronti è stata emessa la sentenza che si intende correggere.
A ciò consegue che in caso di successione nella posizione del dante causa, originaria parte processuale, per i principi generali che sorreggono la materia, colui che voglia far valere questa sua posizione e legittimarsi alla proposizione della istanza, deve dare prova del decesso del dante causa e della sua qualità di erede.
Nulla per le spese della procedura, stante il carattere non contenzioso della stessa
PQM 
Dichiara inammissibile la istanza. Nulla per le spese.
Si comunichi.
Salerno 10.10.2017
Il Presidente Est. 
Dott.ssa Ornella Crespi

domenica, ottobre 22, 2017

La Cassazione sulle modalità di presentazione dell’istanza di riesame.

“Il Tribunale della Libertà correttamente rilevato che l’istanza di riesame deve ritenersi validamente trasmessa al giudice competente (con conseguente decorrenza dei termini di legge per il deposito atti da parte del Pm e per la decisione) solo nel momento in cui la stessa è pervenuta in originale all’ufficio perugino (8.5.2017), in considerazione del fatto che la precedente trasmissione via fax (avvenuta in data 6.5.2017) non poteva considerarsi valida ed utile allo scopo citato in quanto non conforme alle prescrizioni di cui all’art. 64 ultimo comma disp. att. cpp, non figurandovi le attestazioni espressamente previste da quest’ultima norma.
Né, rispetto a tali argomenti in fatto, sussistono contestazioni da parte del ricorrente. Quanto alla correttezza dell’opzione ermeneutica del Tribunale della Libertà, la stessa appare conforme alla condivisa giurisprudenza di legittimità, che ha già avuto modo di affermare che, nell'ipotesi in cui l'istanza di riesame avverso un'ordinanza di misura cautelare personale sia presentata, ex art. 582, comma secondo, cpp - mediante deposito nella cancelleria del tribunale del luogo in cui si trovi la parte - ai fini del decorso del termine perentorio di cinque giorni dalla richiesta di riesame dell'ordinanza cautelare previsto dall'art. 309, comma quinto cpp, si ha riguardo al giorno in cui la richiesta perviene formalmente alla cancelleria del tribunale distrettuale competente (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 17534 del 1/09/2016).
Nella fattispecie oggetto di tale arresto giurisprudenziale si è precisato che non è sufficiente la mera trasmissione telematica dell'istanza di riesame dall'ufficio ricevente a quello competente, ma occorre il rispetto delle formalità indicate nell'art. 64 disp. att. cpp , e, segnatamente, in caso di urgenza ovvero di atti concernenti la libertà personale, l'osservanza delle forme previste dagli artt. 149 e 150 cpp, espressamente richiamati dal detto art. 64, comma terzo, e, nel caso di utilizzazione di mezzi tecnici idonei, l'attestazione, a cura del funzionario di cancelleria del giudice mittente, di aver trasmesso il testo originale al giudice destinatario, ai sensi del comma quarto del medesimo art. 64.
 In termini analoghi si era già espressa questa Corte con la sentenza n. 18203 del 2013. Di conseguenza, a fronte di istanza pervenuta in data 8.5.2017, del tutto tempestiva risulta il deposito atti del PM in data 12.5.2017 e la decisione del Tribunale della Libertà in data 22.5.2017”.

Corte di Cass. Penale Sez. II; Sent. Num. 47964-2017; Presidente: FUMU; Relatore: FILIPPINI; Data Udienza: 06/10/2017.

venerdì, ottobre 20, 2017

La concedibilità della sospensione condizionale della pena.

Cassazione Penale Sez. VII Ord. Num. 48167-2017; Presidente: DAVIGO Relatore: RAGO; Data Udienza: 10/10/2017. 

“Secondo la giurisprudenza assolutamente maggioritaria di questa Corte che, in questa sede, va ribadita, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità della sospensione condizionale della pena, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen., ma può limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti, nei quali rientrano, oltre le sentenze di condanna riportate dall'imputato, anche i precedenti giudiziari di cui all'art. 133 cod. pen. Il giudizio prognostico ex art. 164, comma primo, cod. pen., infatti, è del tutto indipendente dai limiti relativi alla misura della pena fissati dall'art. 163 cod. pen., che determinano la concedibilità in astratto del beneficio ma non certo il contenuto favorevole della prognosi (cfr. ex plurimis Cass. 35852/2016)”.

mercoledì, ottobre 11, 2017

L'aforisma.

Ricorso per cassazione: va indicato, a pena d’inammissibilità, il tempo ed il luogo della produzione d’un documento, onde consentirne l’immediata individuazione.

Corte di Cassazione Civile - Sez. 6 - Ord. num. 23763/2017 - Presidente: FRASCA; Relatore: PELLECCHIA - Data pubblicazione: 10/10/2017.

“Occorre preliminarmente evidenziare che il ricorrente ha spedito a mezzo posta la memoria ex art. 378 c.p.c. La Corte non può ritenere la memoria depositata, considerando tale atto pervenuto non nei modi regolamentari previsti dall’articolo sopra citato (Cass. n. 7704/2016).
Con il primo ed unico motivo il ricorrente denuncia sia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1341, 1362 e 1371 c.c., sia la contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per il giudizio.
Si duole che l’atto di quietanza prodotto in giudizio non rappresenta alcuna volontà abdicativa attestando solo il pagamento da parte della Società Rxxx Myyyyy delle sole somme liquidate nella sentenza di primo grado. 
Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 n.6 c.p.c.. 
Difatti non viene indicato dove e quando è stato depositato l’atto di quietanza sottoscritto dal Txxx. 
E’ principio consolidato di questa Corte che in tema di ricorso per cassazione, l'art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l'indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto. 
Tale prescrizione va correlata all'ulteriore requisito di procedibilità di cui all'art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l'indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell'art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all'ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.), oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l'esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell'ambito del ricorso ( Cass. S.U. n. 7161/2010; Cass. S.U. n. 28547/2008)”.

Rinvio di 30 gg. dell'obbligo di polizza assicurativa.

lunedì, settembre 25, 2017

La legittimazione ed il litisconsorzio nel procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore di condominio.

Cassazione Civile Sez. 6 - Ord. Num. 15706-2017; Presidente: MANNA - Relatore: SCARPA; Data pubblicazione: 23/06/2017; PIPPI MARIO c/ FORTUNA LUIGI. 

“Va osservato come il procedimento di revoca giudiziale dell'amministratore di condominio, che può essere intrapreso su ricorso di ciascun condomino, riveste un carattere eccezionale ed urgente, oltre che sostitutivo della volontà assembleare, ed è ispirato dall'esigenza d’assicurare una rapida ed efficace tutela ad una corretta gestione dell’'amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore.
Non è quindi ammessa la partecipazione al giudizio del condominio o degli altri condomini: interessato e legittimato a contraddire è soltanto l’amministratore, non sussistendo litisconsorzio degli altri condomini (Cass. Sez. 2, 22/10/2013, n. 23955).
Il giudizio è improntato a rapidità, informalità ed ufficiosità, potendo, peraltro, il provvedimento essere adottato "sentito l'amministratore in contraddittorio con il ricorrente" (art. 64, comma 1, disp. att., c.c.).
Il decreto del tribunale di revoca incide, quindi, sul rapporto di mandato tra condomini ed amministratore al culmine di un procedimento camerale plurilaterale, nel quale, tuttavia, l'intervento giudiziale è pur sempre diretto all'attività di gestione di interessi. Pertanto, il provvedimento del tribunale non riveste alcuna efficacia decisoria e lascia salva al mandatario revocato la facoltà di chiedere la tutela giurisdizionale del diritto provvisoriamente inciso, facendo valere le sue ragioni attraverso un processo a cognizione piena (pur non ponendosi questo come un riesame del decreto) (Cass. Sez. Unite, 29/10/2004, n. 20957; Cass. Sez. 6 - 2, 01/07/2011, n. 14524).
Poiché, allora, il giudizio di revoca dell'amministratore di condominio ex artt. 1129, comma 11, c.c. e 64, disp. att. c.c., dà luogo ad un procedimento camerale plurilaterale tipico, nel quale l'intervento del giudice è diretto all'attività di gestione di interessi e non culmina in un provvedimento avente efficacia decisoria, in quanto non incide su situazioni sostanziali di diritti o di "status", non è indispensabile il patrocinio di un difensore legalmente esercente, ai sensi dell'art. 82, comma 3, c.p.c. (arg. da Cass. Sez. 1, 07/12/2011, n. 26365; Cass. Sez. 1, 29/05/1990. n. 5025)".

giovedì, settembre 21, 2017

Anche nel giudizio introdotto con l'indennizzo diretto, il responsabile del danno è sempre litisconsorte necessario.

"E' bene rammentare che, come questa Corte ha già affermato, l’azione diretta di cui all’art.149 cit. non è originata dal contratto assicurativo, ma dalla legge, che la ricollega al verificarsi del sinistro a certe condizioni, assumendo l’esistenza di un contratto assicurativo solo come presupposto legittimante, sicché la posizione del danneggiato non cessa di essere originata dall’illecito e trovare giustificazione in esso, assumendo la posizione contrattuale del medesimo verso la propria assicurazione soltanto la funzione di sostituire rassicuratone del danneggiato a quella del responsabile nel rispondere della pretesa risarcitoria (così l’ordinanza 13 aprile 2012, n. 5928).
In altri termini, il sistema risarcitorio costruito dall’art. 149 e dal d.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, si fonda su una sorta di accollo ex lege, a carico dell’assicuratore del danneggiato, del debito che sarebbe gravante sul responsabile e sull’assicuratore di quest’ultimo.
In sostanza, la procedura in questione determina un meccanismo di semplificazione operante a condizione che si tratti di danni al veicolo, o alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente, ovvero anche di danno alla persona subito dal conducente non responsabile, purché nei limiti di cui all’art. 139 del decreto stesso (lesioni di lieve entità).
In tal modo il danneggiato viene risarcito dal proprio assicuratore il quale potrà recuperare quanto pagato dall’assicuratore del responsabile (v. anche la sentenza 10 agosto 2016, n. 16874). Si tratta, quindi, di una procedura che trova il proprio fondamento, oltre che nel modesto valore dei risarcimenti di cui si tratta, principalmente in una esigenza di rapidità di tutela, assicurata dalla circostanza che il danneggiato, rivolgendosi al proprio assicuratore con cui ha un rapporto contrattuale pendente, risulta agevolato proprio dall’esistenza di tale rapporto e dalla relativa “conoscenza” con la struttura dell’assicuratore.
Occorre però tenere presente che il sistema previsto dal d.lgs. n. 209 del 2005 è, per certi versi, identico a quello preesistente; ed infatti l’art. 144, comma 3, di tale decreto dispone che, quando la vittima propone l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, ha l’obbligo di convenire altresì, quale litisconsorte necessario, il responsabile del sinistro, identificato nel proprietario del mezzo.
L’azione che la legge offre al danneggiato nei confronti del proprio assicuratore non è diversa da quella regolata dall’art. 144 cit.; ne dà conferma in tal senso il comma 6 dell’art. 149 il quale attribuisce alla vittima la stessa azione regolata dalla norma precedente; e la possibilità che l’art. 149, comma 6, cit. conferisce all’assicuratore del responsabile di intervenire in giudizio e di estromettere l’altra impresa si collega alla posizione di accollo ex lege di cui si è detto in precedenza.
La legge dice che, quando tale intervento ha luogo, la richiesta di estromissione è possibile se l’impresa interveniente riconosca la responsabilità del proprio assistito.
Ora, è palese che tale responsabilità, per essere oggetto di riconoscimento, deve essere già oggetto di discussione nel giudizio introdotto dal danneggiato contro il proprio assicuratore e ciò è un’ulteriore indiretta conferma dell’esistenza del litisconsorzio necessario.
D’altra parte, l’azione diretta di cui all’art. 144 cit. presenta tre caratteristiche essenziali: l’inopponibilità delle eccezioni, il limite del massimale ed il litisconsorzio necessario.
E poiché è pacifico che le prime due trovano applicazione anche nel caso di azione diretta promossa dalla vittima nei confronti del proprio assicuratore, in regime di risarcimento diretto, non si comprende perché mai a quest’ultima azione debba negarsi l’applicabilità della terza caratteristica dell’azione diretta, ovvero il litisconsorzio necessario. 
Giova rammentare, ad ulteriore rafforzamento dell’approdo interpretativo qui raggiunto, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 180 del 2009, ha posto in luce quali siano le effettive finalità della procedura di risarcimento in questione, rilevando che essa «non rappresenta una diminuzione di tutela, ma un ulteriore rimedio a disposizione del danneggiato».
La sentenza, tra l’altro, ha ricordato che il nuovo sistema non esclude le azioni già previste dall’ordinamento in favore del danneggiato e che l’assicuratore di quest’ultimo «non fa altro che liquidare il danno per conto dell’assicurazione del danneggiante».
1.4. In conclusione, quindi, appare al Collegio evidente che le stesse finalità individuate dalla giurisprudenza sopra richiamata in ordine all’art. 23 della legge n. 990 del 1969 continuano a sussistere anche nella procedura di risarcimento diretto.
E’ vero che il litisconsorzio necessario rischia di appesantire la procedura; ma è altrettanto vero che ciò trova un evidente bilanciamento nella necessità di evitare che il danneggiarne responsabile possa affermare l’inopponibilità, nei suoi confronti, dell’accertamento giudiziale operato verso l’assicuratore del danneggiato, posto che i due assicuratori dovranno necessariamente regolare tra loro i relativi rapporti (art. 149, comma 3, cit.).
Da tanto consegue che il Tribunale ha deciso correttamente e che, avendo individuato un caso di litisconsorzio necessario, ha rimandato il processo in primo grado, così come imposto dall’art. 354 del codice di procedura civile.
2. Il ricorso, pertanto, è rigettato, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto: «In materia di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli, nella procedura di risarcimento diretto di cui all’art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, promossa dal danneggiato nei confronti del proprio assicuratore, sussiste litisconsorzio necessario, analogamente a quanto previsto dall’art. 144, comma 3, del medesimo decreto, nei confronti del danneggiante responsabile».

Corte Cassazione Civile - Sez. 6 - Ord. Num. 21896/2017 - Presidente: FRASCA; Relatore: CIRILLO - Data pubblicazione: 20/09/2017.

mercoledì, settembre 13, 2017

La cd "individuazione fotografica" è una prova penale atipica, utilizzabile dal Giudice.

Cassazione Penale Sent. Num. 41580-2017 Presidente: SETTEMBRE Relatore: SGADARI - Data Udienza: 24/08/2017. 

"I ricorrenti, solo in termini estremamente generici, censurano la valenza probatoria attribuita dalla Corte di Appello, con decisione immune da vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede, all'individuazione fotografica effettuata da un testimone oculare della rapina commessa a Gxxx d'Ayyy nel luglio del 1991; elemento che è stato messo in correlazione, in un passaggio della motivazione della sentenza impugnata obliterato in ricorso, con gli altri dati significativi - ed omologhi quanto al modus operandi dei due delitti - relativi all'altra rapina commessa a Rxxx il 29 luglio 1991, giudicata in altra sede con riguardo alla posizione dei ricorrenti, tenuto conto che essi erano stati arrestati nella flagranza del reato.
Il testimone oculare, peraltro, come correttamente sottolineato dalla Corte di Appello, aveva confermato di avere effettuato, ben sedici anni prima, l'individuazione fotografica degli imputati, dichiarando al dibattimento di non essere più in condizioni di ricordare le fattezze fisiche degli imputati. Tale circostanza non consente di ritenere inficiata o inutilizzabile l'individuazione fotografica a suo tempo effettuata e valorizzata dalla Corte di Appello.
Infatti, va richiamata la pacifica e condivisa giurisprudenza di legittimità secondo la quale, l'individuazione di un soggetto - sia personale che fotografica - costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, soggetta, alla stregua della deposizione testimoniale, alle regole processuali che consentono l'utilizzabilità in dibattimento di dichiarazioni rese da un teste nella fase delle indagini preliminari (Sez. 2, n. 50954 del 03/12/2013, Cordone, Rv. 257985; Sez. 6, n. 6582 del 05/12/2007, dep. 2008, Major, Rv. 239416). 
L'individuazione fotografica, peraltro, recuperata attraverso le dichiarazioni del testimone che l'ha confermata od il cui verbale sia stato acquisito al dibattimento sull'accordo delle parti, è considerata una prova atipica, un accertamento di fatto che, come tale, è utilizzabile nel giudizio in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice (cfr. Sez. 5, n. 6456 del 01/10/2015, Verde, Rv. 266023; Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Di Stefano, Rv. 262908)".

lunedì, settembre 11, 2017

Occupazione abusiva d'immobile: il danno è "in re ipsa"?

“Nell’ipotesi di occupazione "sine titulo" d’un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario per l'indisponibilità del medesimo può definirsi "in re ipsa", purché inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all'impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l'onere per l'attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l'ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell'immobile, l'avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione (Cass. Civ. n. 25898/2016)”.

Cass. Civile Sez. VI Ord. num. 20856-2017; pubblicazione: 06/09/2017 -Presidente: AMENDOLA - Relatore: SESTINI.

domenica, settembre 03, 2017

La responsabilità dell'appaltatore nell'esecuzione del progetto.

“L’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell'arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente, cosicché la responsabilità dell'appaltatore, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori, ove egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto (Cass., Sez. 2, n. 8813 del 30/05/2003; Sez. 2, n. 8016 del 21/05/2012; Sez. 2, n. 23665 del 21/11/2016; Sez. 2, n. 1981 del 02/02/2016)”.

Corte Cassazione Civile Sez. 2 Ord. Num. 20214/2017 Presidente: MANNA - Relatore: LOMBARDO - Data pubblicazione: 21/08/2017.

mercoledì, agosto 30, 2017

Riscossione coattiva bollo auto: prescrizione sempre triennale.

Cass. Civile Sez. 6 Ord. Num. 20503-2017 Presidente: SCHIRO' Relatore: NAPOLITANO Data pubblicazione: 29/08/2017. EQUITALIA SUD SPA c. RINALDI ANNUNZIATINA.


 "Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 17 novembre 2016, n. 23397), hanno, per quanto in questa sede rileva, statuito che «il principio di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti in ogni modo denominati di riscossione mediante ruolo», di modo che, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo. 
Nella fattispecie in esame, avente ad oggetto riscossione di tassa automobilistica, soggetta a termine di prescrizione triennale, per effetto di quanto stabilito dall’art. 5 comma 51 del d. 1. n. 953/1982, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 53/1983 e modificato dall’art. 3 del d.l. n. 2/1986 convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 60/1986, la decisione della CTR in questa sede impugnata è conforme al succitato principio di diritto, non comportando la mancata impugnazione della cartella nei termini l’applicabilità del termine ordinario di prescrizione in ordine alla successiva notifica dell’intimazione di pagamento".

Gli avvocati non lavorano, disturbano…..

TRIBUNALE DI QUARK - UNIVERSO PARALLELO
Prego Avvocato, si accomodi. Appoggi pure il giaccone sul divano, l'appendiabiti è pieno. La borsa qui vicino a me, così stiamo tranquilli. Mi dica...
TRIBUNALE DI XXXXXX - MONDO REALE
Butto il giaccone su una sedia, stringo la borsa tra le gambe, e con il fascicolo in mano mi avvicino al tavolo del Giudice. "Giudice" faccio io, mentre si è appena accostato un altro Collega.
E il Giudice mi fulmina: "Avvocato, non lo vede CHE GIA' MI STA DISTURBANDO UN SUO COLLEGA?"
Quindi, se non la sapevate, sappiatelo: i Giudici non lavorano, vengono disturbati.
I Giudici,nel mondo reale, vengono pagati non per esaminare questioni e risolverle in punto di diritto, ma per la seccatura di doverlo fare (e come lo fanno lo fanno, non stiamo a sottilizzare).
Noi Avvocati non lavoriamo: disturbiamo. Insomma, siamo 250.000 rompicoglioni.
Bene: è sempre stato il mio sogno, quello di rompere i coglioni.

Avv. Giuseppe Caravita

martedì, agosto 29, 2017

Opposizione a sanzione amministrativa: il Giudice non può rilevare d’ufficio vizi dell’atto non dedotti dall’opponente.

Cass. Civile Sez. 2 Sent. num. 20212-2017 - Presidente: PETITTI Relatore: CRISCUOLO - Data pubblicazione: 21/08/2017; TERMANINI + 1/MINISTERO ECONOMIA FINANZE. 

“Occorre prendere le mosse dalla natura impugnatoria del giudizio d'opposizione a sanzione amministrativa così come ribadito dalla costante giurisprudenza della Corte, la quale ha appunto affermato che (cfr. Cass. n. 20425/2006) l'opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione di pagamento di una somma a titolo di sanzione amministrativa, di cui agli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (richiamati per le violazioni relative al codice della strada dall'art. 205 di tale codice), introduce un giudizio, disciplinato dalle regole proprie del processo civile di cognizione, i cui limiti sono segnati dai motivi dell'opposizione, che costituiscono la "causa petendi" dell'azione. Da ciò consegue poi che il giudice non può rilevare d'ufficio vizi dell'atto amministrativo impugnato, diversi da quelli fatti valere con l'atto introduttivo, ostandovi il principio di cui all'articolo 112 cod. proc. civ., che vieta al giudice di porre a fondamento della decisione fatti estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda ( così cass. n. 13751/2006), non potendo essere, nel giudizio di opposizione a ordinanza - ingiunzione, rilevabili d'ufficio ragioni di nullità del provvedimento opposto o del procedimento che l'ha preceduto non dedotte dal ricorrente ( Cass. n. 18288/2010; conf. Cass. n. 22637/2013). Pertanto poiché i motivi di opposizione si pongono come "causa petendi" del giudizio de quo, i quali, a norma dell'art. 22 cit., devono essere proposti con il ricorso entro trenta giorni dalla notificazione della ingiunzione ( Cass. n. 6519/2005), deve escludersi che potesse essere dedotta per la prima volta in grado di appello una patologia dell'ordinanza, chiaramente non riconducibile ad un'ipotesi di inesistenza, quale quella ora in esame, non potendosi in tal modo eludere il carattere perentorio tipico dei termini previsti per l'opposizione e per la concreta delimitazione del thema decidendum".

venerdì, luglio 28, 2017

Telecamera su scala condominiale e reato d’interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.).

“L'art. 615 bis cod. pen. è funzionale alla tutela della sfera privata della persona che trova estrinsecazione nei luoghi indicati nell'art. 614 cod. pen., vale a dire, nell'abitazione e nei luoghi di privata dimora, oltre nelle "appartenenze" di essi.
Si tratta di nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli svolge la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza.
Peraltro, proprio l'oggetto giuridico della tutela presuppone uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui, sia nel senso che altri non possano accedervi senza il consenso del titolare del diritto, sia nel senso che sia destinato a rimanere riservato ciò che avviene in quello spazio.
Le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l'esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all'uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all'art. 615 bis c.p. non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese (si vedano: Cass. 10-11-06 n. 5591, la quale ha escluso che comportino interferenze illecite nella vita privata le videoriprese del "pianerottolo" di un'abitazione privata, oltre che dell'area antistante l'ingresso di un garage condominiale; Cass., n. 37530 del 25-10-06, con riguardo alle videoregistrazioni dell’ingresso e del piazzale di accesso a un edificio sede dell’attività di una società commerciale; Cass., n. 44701 del 29/10/2008, ancora una volta con riguardo alle riprese di un'area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso).

Cassazione Penale V Sez. sentenza n. 34151/2017 del 12 luglio 2017.

giovedì, luglio 27, 2017

La violazione del cd “principio dispositivo”, di cui all’art. 115 co. 1 cpc.

“Secondo il pacifico orientamento della Corte, per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 cpc è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma.
Il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa, al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.).
Ne deriva che detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato della "valutazione delle prove" (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016)”.

Corte di Cassazione Civile Sez. 6 Ord. Num. 18596/2017 Presidente: PETITTI Relatore: CRISCUOLO - Data pubblicazione: 26/07/2017.

mercoledì, luglio 26, 2017

Contestazione della CTU medico-legale ed obbligo di motivazione del Giudice.

“Il giudice del merito, qualora condivida i risultati della consulenza tecnica d'ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l'accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass., 22 febbraio 2006, n. 3881). In tal caso l'obbligo della motivazione è assolto con l'indicazione della fonte dell'apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese (cfr. fra le tante, Cass. 9 marzo 2001, n. 3519). (…..)il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice (v. ex plurimis da ultimo Cass. ord. n. 1652 del 2012, Cass. ord. 23/12/2014 n. 27378, Cass. 16/02/2017 n. 4124)”. 

Cass. Civ. Sez. VI, ord. n. 18358-2017 del 25 luglio 2017 – Presidente Canzio – Rel. Ghinoy

sabato, luglio 22, 2017

Impugnazione delibera condominiale: rapporto tra contenuto mediaconciliazione e successiva domanda processuale (Tribunale Salerno sent. n. 3177-2017).

“L’eccezione processuale di improcedibilità della domanda per omesso esperimento della mediazione obbligatoria ha carattere pregiudiziale. L’art. 5 comma 1 -bis del D.L.vo 4 marzo 2010 n. 28, inserito dall’art. 84 comma 1 lett. b) del D.L. 21 giugno 2013 n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n 98, dispone che chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia, tra l’altro, di condominio è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione previsto dal decreto legislativo e che tale esperimento obbligatorio è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.
La norma, applicabile al caso di specie per la pendenza della causa dalla data di notificazione degli atti di citazione (effettuata dall’ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., con deposito nella casa comunale in data 23.12.2013, affissione dell’avviso e spedizione della racc.ta a.r. contenente l’avviso di deposito), successiva all’entrata in vigore del D.L. 21 giugno 2013 n. 69, prevista dall’art. 84 comma 2 (21.9.2013), richiede la verifica della condizione di procedibilità, che il Condominio contesta in ragione della maggiore ampiezza dell’oggetto della causa rispetto all’oggetto del procedimento di mediazione.
Secondo il Condominio, il tentativo obbligatorio di conciliazione non risulta ritualmente esperito quando, come nel caso di specie, la domanda giudiziale ha un oggetto più esteso rispetto a quello indicato nell’invito al procedimento di mediazione. 
La domanda di mediazione fa riferimento alla “impugnativa della delibera assembleare del 22 novembre 2013, poiché si approva una transazione (punto 2 o.d.g.) invitando l’amministratore ad emettere bollette, prima di aver verificato contabilmente la congruità delle poste e l’imputazione dei pagamenti oggetto della transazione; e poiché si conferisce, inoltre, mandato in bianco all’amministratore su di una serie di problematiche (punto 4 o.d.g.) di competenza dell’assemblea”.
Manca, rispetto all’azione proposta, solo l’impugnazione della decisione sul punto 1 dell’ordine del giorno, introdotta nel processo come nuovo tema di indagine.
Va, tuttavia, osservato che, a differenza di altre forme di esperimento obbligatorio di conciliazione (come l’abrogato art. 46 della legge n. 203/82, cui si riferisce la giurisprudenza richiamata dal Condominio), quella presso l’organismo di mediazione è prevista, non per la “domanda” che si intenda proporre in giudizio, ma per la “azione” che si intende esercitare in giudizio relativa ad una controversia in materia di condominio. 
 Con la conseguenza che nel caso di proposizione di un’azione di impugnazione parziale della delibera assembleare, avente ad oggetto solo alcune decisioni su specifici ordini del giorno, non occorre che la mediazione sia esperita su tutti i singoli punti, purché in giudizio non si sostituisca l’oggetto della domanda di mediazione con una domanda diversa, ossia fondata su una diversa “causa petendi”, con mutamento dei fatti costitutivi e con alterazione dell’oggetto sostanziale della controversia. 
Difformità che non si ravvisa, nella specie, ove l’azione è solo estesa ad un altro punto dell’ordine del giorno”.
(Tribunale Civile di Salerno sentenza n. 3677-2017 del 21 luglio 2017 – GU: Iannicelli)

venerdì, luglio 14, 2017

L’elezione di “domicilio digitale”, con indicazione del codice fiscale del difensore, determina nullità della cd “notifica in cancelleria”.

“(…..) la notificazione della sentenza impugnata alla “Lxxx Ikkkkk” s.r.l. presso la cancelleria della corte d'appello è nulla e, di conseguenza, è inidonea a determinare la decorrenza del termine per l'impugnazione previsto dall'art. 325 cod. proc. civ.Il ricorso, notificato nei termini di cui all'art. 327 cod. proc. civ., è pertanto tempestivo. 
La “Lxxx Ikkkkk” s.r.l. ha eletto domicilio, ai fini del giudizio di appello, in Lecco. Ricorrerebbero, dunque, le condizioni alle quali - ai sensi dell'art. 82, comma secondo, del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore) - la “Lxxx Ikkkkk” s.r.l. avrebbe dovuto considerarsi domiciliata ex lege presso la cancelleria della Corte d'appello di Milano. Sennonché la portata di tale disposizione in commento deve essere oggi raccordata con la disciplina del c.d. "domicilio telematico" e delle notificazioni a mezzo di posta elettronica certificata (PEC).
Le Sezioni unite hanno infatti osservato che, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 cod. proc. civ., apportate dall'art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, esigenze di coerenza sistematica e d'interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lega presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell'art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all'obbligo prescritto dall'art. 125 cod. proc. civ. per gli atti di parte e dall'art. 366 cod. proc. civ. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine (Sez. Unite, Sentenza n. 10143 del 20/06/2012, Rv. 622883) .
Successive pronunce di questa Corte hanno tuttavia ridimensionato il rilievo della "elezione" (in senso improprio) del domicilio telematico. È stato affermato, infatti, che, mentre l'indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l'obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell'ipotesi in cui l'indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria (Sez. 6-3, Sentenza n. 25215 del 27/11/2014, Rv. 633275; Sez. 6-3, Ordinanza n. 2133 del 03/02/2016, Rv. 638920, in motivazione). Alla stregua del citato orientamento, il Rxx non avrebbe avuto alcun onere di notificare la sentenza a mezzo di PEC, giacché il difensore della “Lxxx Ikkkkk” s.r.l. aveva indicato il proprio indirizzo PEC solamente ai fini delle comunicazioni di cancelleria. Conseguentemente, la notificazione della sentenza presso la cancelleria della Corte d'appello di Milano sarebbe stata idonea a determinare il decorso del termine "breve" per l'impugnazione (art. 325 cod. proc. civ.).
Il citato orientamento traeva spunto dal tenore dell'art. 125, primo comma, cod. proc. civ., come modificato dall'art. 2, comma 35-ter del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (c.d. Decreto sviluppo) secondo cui, negli atti di parte, «il difensore deve, altresì, indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax».
In epoca pressoché coeva, la legge 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilità 2012), ha modificato anche l'art. 366 cod. proc. civ., in tema di giudizio di cassazione, prevedendo che il ricorrente debba eleggere domicilio in Roma ovvero indicare in ricorso l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine; in mancanza, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione.
Questi interventi legislativi, evidentemente volti ad incentivare l'uso degli strumenti informatici nel processo civile, risultavano però scarsamente coordinati fra di loro e con le regole preesistenti in materia di notificazioni telematiche. È in tale quadro normativo che si collocano le vicende processuali costituenti oggetto delle pronunce di questa Corte precedentemente citate.
Tali conclusioni, però, non sono più attuali. Dopo tali pronunce, infatti, la disciplina delle notificazioni telematiche è stata ulteriormente modificata. 
Anzitutto, l'art. 125 cod. proc. civ. è stato nuovamente rimaneggiato, ad opera dell'art. 45-bis, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari). La modifica è consistita, per l'appunto, nella soppressione dell'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo PEC del difensore .
Inoltre, il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha aggiunto al d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; c.d. Agenda digitale), l'art. 16-sexies, intitolato «Domicilio digitale». La disposizione prevede che, «salvo quanto previsto dall'articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia».
Il menzionato art. 6-bis d.lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell'amministrazione digitale) prevede l'istituzione, presso il Ministero per lo sviluppo economico, di un pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. L'indirizzo di posta elettronica certificata è "agganciato" in maniera univoca al codice fiscale del titolare.
In conclusione, oggi l'unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell'ordine di appartenenza. In tal modo, l'art. 125 cod. proc. civ. è stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale.
Il difensore non ha più l'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo di posta elettronica certificata, né la facoltà di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell'ordine o di restringerne l'operatività alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale; ciò vale come criterio di univoca individuazione dell'utente SICID e consente, tramite il registro pubblico UNI-PEC, di risalire all'indirizzo di posta elettronica certificata. Resta invece fermo il contenuto dell'art. 366, comma secondo, cod. proc. civ. che, limitatamente al giudizio di cassazione, che prevede la domiciliazione ex lega del difensore presso la cancelleria della Corte nel caso in cui non abbia eletto domicilio nel comune di Roma, né abbia indicato il proprio indirizzo di posta elettronica.
In conclusione, oggi ciascun avvocato è munito di un proprio "domicilio digitale", conoscibile da parte dei terzi attraverso la consultazione dell'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) e corrispondente all'indirizzo PEC che l'avvocato ha indicato al Consiglio dell'ordine di appartenenza e da questi è stato comunicato al Ministero della giustizia per l'inserimento nel registro generale degli indirizzi elettronici .
Tale disciplina implica un considerevole ridimensionamento dell'ambito applicativo dell'art. 82 r.d. n. 37 del 1934 . Infatti, come si è visto, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle partì private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario. Nelle restanti ipotesi, ovverosia quando l'indirizzo PEC è disponibile, è fatto espresso divieto di procedere a notificazioni o comunicazioni presso la cancelleria, a prescindere dal comune in cui ha sede l'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa.
Residua, tuttavia, un ristretto margine di applicazione dell'art. 82 r.d. n. 37 del 1934. Si tratta del caso in cui l'uso della PEC è impossibile per causa non imputabile al destinatario. In tale ipotesi, le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni degli atti vanno effettuate nelle forme ordinarie, ai sensi degli artt. 136 ss. cod. proc. civ.: solamente in tale eventualità assume rilievo - ai fini del citato art. 82, secondo comma, r.d. n. 37 del 1934 - l'omessa elezione del domicilio "fisico" nel comune in cui ha sede l'ufficio giudiziario. In conclusione, a seguito dell'introduzione del "domicilio digitale" previsto dall'art. 16-sexies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (così come modificato dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114), non è più possibile procedere - ai sensi dell'art. 82 del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37 - alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi a cui pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede l'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.
Nel caso dì specie, la notificazione della sentenza di appello presso la cancelleria della Corte d'appello di Milano è avvenuta in data 11 giugno 2015 e quindi successivamente all'introduzione nel nostro ordinamento processuale l'istituto del "domicilio digitale".
Consegue che la notificazione deve considerarsi nulla (non inesistente; v. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603; conf. Sez. 6-3, Ordinanza n. 2174 del 27/01/2017, Rv. 642740), in quanto eseguita presso la cancelleria della corte d'appello nonostante il divieto posto dal citato art. 16-sexies d.l. n. 179 del 2012.
Alla nullità della notificazione consegue l'inidoneità della stessa a far decorrere il termine di impugnazione di cui all'art. 325 cod. proc. civ., con la conseguenza che il ricorso proposto dalla “Lxxx Ikkkkk” s.r.l. prima della scadenza del termine "lungo" previsto dall'art. 327 cod. proc. civ. è tempestivo”.(…….)

Corte di Cassazione Civile Sez. 3; Sent. Num. 17048-2017 Presidente: AMBROSIO Relatore: D'ARRIGO - Data pubblicazione: 11/07/2017.

martedì, luglio 04, 2017

L’oggetto di valutazione nel procedimento disciplinare è il comportamento complessivo dell’incolpato.

"In ossequio al principio enunciato dall’art. 21 ncdf (già art. 3 codice previgente), nei procedimenti disciplinari l’oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato e tanto al fine di valutare la sua condotta in generale, quanto a quello di infliggere la sanzione più adeguata, che non potrà se non essere unica nell’ambito dello stesso procedimento, nonostante siano state molteplici le condotte lesive poste in essere. Tale sanzione, quindi, non è la somma di altrettante pene singole sui vari addebiti contestati, quanto invece il frutto della valutazione complessiva del soggetto interessato". 

 Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Salazar), sentenza del 31 dicembre 2016, n. 402.

NOTA: In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Del Paggio), sentenza del 30 dicembre 2016, n. 382, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Losurdo), sentenza del 24 novembre 2016, n. 343, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Sica), sentenza del 10 marzo 2015, n. 16, Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Florio), sentenza del 18 marzo 2014, n. 27.

venerdì, giugno 23, 2017

Approvata la cd "legge Falanga": elezioni per rinnovo COA entro 45 gg.

La Commissione Giustizia in data 22/6/2017 ha approvato definitivamente, in sede legislativa, la proposta di legge C. 4439, (FALANGA e altri, approvata dalla 2a Commissione permanente del Senato) su “Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi”.
L’approvazione della proposta di legge in discussione fa, quindi, venir meno lo schema di regolamento ministeriale previsto in materia e consente finalmente l’elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi con una vera e propria legge elettorale, che riforma la disciplina contenuta nella Legge sull’ordinamento forense (L. 247/12). Il testo della Legge Falanga ricalca sostanzialmente le indicazioni offerte dalla Giustizia amministrativa, che aveva annullato il D.M. n. 170/2014.
Le principali novità, che consentiranno il rinnovamento dei Consigli dei vari Ordini circondariali, sono la previsione che “ciascun elettore può esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere ai sensi dell’articolo 28, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247” (art. 4 e 10); la designazione dei componenti della commissione elettorale, effettuata mediante sorteggio tra gli iscritti (art. 9); il rispetto, soltanto nella preferenza di voto multipli, al genere meno rappresentato (art. 10); la possibilità del voto elettronico, ove tecnicamente possibile (art. 13).
Infine, la norma transitoria:“I consigli dell’ordine che non hanno proceduto al rinnovo secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 10 novembre 2014, n. 170, procedono a deliberare le elezioni entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. 2. I consigli dell’ordine eletti secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 10 novembre 2014, n. 170, le cui elezioni sono state annullate in via definitiva, procedono a deliberare le elezioni entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ovvero dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, se successiva alla predetta data di entrata in vigore. 3. In sede di prima applicazione, la durata dei consigli dell’ordine, ivi compresi quelli eletti ai sensi dei commi 1 e 2, è stabilita comunque alla scadenza del 31 dicembre 2018, ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 3 della presente legge. Alle elezioni successive si applicano le disposizioni di cui all’articolo 28, comma 7, della legge 31 dicembre 2012, n. 247…” (art. 17).
Pertanto, con l’approvazione di tale assetto normativo, i Consigli dell’Ordine vedranno finalmente la possibilità di rinnovare la componente consiliare, evitando le vecchie logiche dei “listoni” che impedivano il ricambio generazionale, a discapito delle reali rappresentanze del Foro.

sabato, giugno 17, 2017

Sinistri e transazione: il compenso percepito dall’assicurazione è satisfattivo (salvo accordo scritto col cliente).

In tema di transazione stragiudiziale sul risarcimento del danno, integra illecito disciplinare il comportamento dell’avvocato che, in assenza di accordo scritto sul compenso ex art. 2233 cod. civ., richieda al Cliente un compenso ulteriore rispetto a quanto già percepito direttamente dalla Compagnia assicuratrice (Nel caso di specie, l’ulteriore importo appariva manifestamente sproporzionato rispetto all’attività svolta. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per mesi due)”. 

Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Iacona), sentenza del 30 dicembre 2016, n. 386

L'applicazione dei nuovi termini di prescrizione penale.

venerdì, giugno 16, 2017

Associazione di tipo mafioso: la natura dell’aggravante della disponibilità di armi.

“In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'aggravante della disponibilità di armi, prevista dai commi quarto e quinto dell'art. 416-bis cod. pen., ha natura oggettiva ed è configurabile a carico dei partecipi, ex art. 59/2 cod. pen., che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che per colpa lo ignorino. Ai fini della ravvisabilità dell'aggravante in esame, è necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo da quale specifico soggetto abbia la concreta disponibilità delle armi, potendo assumere, ai fini probatori, anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso: cfr. Cass. 44667/2016; Cass. 44704/2015; Cass. 1703/2014 che hanno ribadito che, ai fini probatori, la consapevolezza può desumersi in base all'appartenenza del singolo soggetto alla cosca mafiosa nella disponibilità del quale le armi si trovavano”. 

Cass. Penale Sez. 2 Sent. Num. 27394-2017 Presidente: DIOTALLEVI Relatore: RAGO - Data Udienza: 10/05/2017.

Per i balconi “aggettanti” non si applica la disciplina di cui all’art. 1125 cc.

“In tema di condominio, i balconi "aggettanti", i quali sporgono dalla facciata dell'edificio, costituiscono solo un prolungamento dell'appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell'edificio - come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell'edificio - non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani e ad essi non può applicarsi il disposto dell'articolo 1125 cod. civ. 
I balconi "aggettanti", pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono (Cassazione civile,Sez. 2, Sent. n. 15913 del 17/07/2007; conf. Cassazione civile Sez. 2, Sent. n. 587 del 12/01/2011 e Cassazione civile, sez. II, Sent. 05/01/2011 n. 218)”. 

Cassazione Civile Sez. II sent. n. 10894-2017 Presidente: MIGLIUCCI Relatore: CORRENTI - Data pubblicazione: 04/05/2017

giovedì, giugno 15, 2017

L'ammissione della parte al gratuito patrocinio, preclude l'erogazione della sanzione del raddoppio del cd "contributo unificato".

"Come affermato in più occasioni da questa Corte (Cass. 2.9.2014 n. 18523; Cass. ord. 18.10.2016 n. 3669; Cass. 15.10.2015 n. 20920), quando la parte è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato non sussistono le condizioni per l'applicazione del disposto dell'art. 13 c. 1 quater DPR n. 115/2002 introdotto dalle legge n. 228 del 2012. 
Infatti, anche se la disposizione di cui all'art. 13 citato non prevede esenzioni per tale ipotesi, la norma deve essere interpretata, sistematicamente, pur sempre nel contesto del provvedimento legislativo in cui è stata inserita a seguito della modifica di cui all'art. 1 legge n. 228/2012. 
Ebbene, l'art. 131 DPR 30.5.2002 n. 115 statuisce che: "Per effetto dell'ammissione al patrocinio e relativamente alle spese a carico della parte ammessa, alcune sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall'erario. Tra quelle prenotate a debito rientra il contributo unificato nel processo civile e amministrativo". 
Sebbene il raddoppio del contributo si muova nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle pur sempre limitate risorse a sua disposizione ed il suo rilevamento non costituisca un capo del provvedimento di definizione dell'impugnazione dotato di contenuto condannatorio né di contenuto declaratorio, tuttavia è indubbio che l'applicazione di tale raddoppio, se sia riferibile ad un soggetto ammesso al patrocinio dello stato ovvero ad una amministrazione pubblica, non sia conforme a legge. 
Nei suddetti casi, infatti, si ha un esonero istituzionale, per valutazione normativa dello loro qualità soggettiva, del materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito. 
Nella specifica fattispecie del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello stato, pertanto, se il giudice adito -in sede di decisione- può e deve dichiarare che non sussistono le condizioni per la applicazione del disposto di cui all'art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, allo stesso modo non si può privare la parte non abbiente di una eventuale tutela giurisdizionale in sede di legittimità nell'ipotesi in cui vi sia stata una erronea determinazione giurisdizionale sul punto da parte dei giudici di appello. 
Né può affermarsi che l'eventuale erroneità della indicazione di sussistenza dei presupposti per l'assoggettabilità all'obbligo di un versamento di una somma pari a quella del contributo potrà essere segnalata in sede di riscossione (cfr. Cass. Sez. VI - 3 ord. 9.11.2016 n. 22867) perché tale ricostruzione si porrebbe in contrasto con l'art. 6 della CEDU, con riguardo ai tempi ragionevoli del processo e al principio dell'esame equo della propria controversia, e con l'art. 47 della Carta Fondamentale dell'Unione Europea, che afferma che a coloro che non dispongano di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia, non potendosi, pertanto, ravvisare tale situazione quando il non abbiente debba essere costretto ad azionare più giudizi per ottenere garanzia dei propri diritti. 
E ciò prescindendo da altri profili processuali di diritto interno, relativi alla circostanza che altre autorità, seppure in sede di riscossione, dovrebbero rivalutare un capo di una pronuncia giurisdizionale definitiva, oppure dal negativo aspetto di politica finanziaria e di bilancio pubblico conseguente al fatto che un altro giudizio (opposizione alla riscossione esattoriale) esporrebbe lo Stato ad un ulteriore esborso per la difesa del non abbiente". 

Cassazione Civile Sez. Lav. Sent. num. 13935-2017 Presidente: NOBILE Relatore: CINQUE - Data pubblicazione: 05/06/2017